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IL CASO

Tar, l'impossibile riforma della 194

La sentenza che ha bocciato la Regione Lombardia dimostra che giuridicamente il concepito non è tutelato.

Attualità 04_01_2011
aborto

Il Tar ha deciso di  “bocciare” le linee guida che Regione Lombardia aveva dettato nel 2008 in materia di aborto volontario. Alcuni medici della Cgil avevano fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, che in questi giorni ha dato loro ragione. In sostanza, ha detto il Tar, la Regione Lombardia non può emanare linee guida sull’aborto, poiché la legge 194 disciplina già la materia, che è di competenza del Parlamento e non delle regioni.

Nel merito, la questione riguarda la condotta da tenere nei confronti dei nascituri in fase gestazionale avanzata: la legge 194 non prevede infatti un termine preciso oltre il quale l’aborto è vietato, ma stabilisce nell’ultima parte dell’articolo 7 che quando “sussiste la possibilità di vita autonoma del feto” l’aborto non può più essere praticato, ameno che la madre non sia in pericolo di vita.

Ora, nel periodo trascorso dal 1978 – anno di entrata in vigore della legge – a oggi, le tecniche di assistenza neonatale sono progredite, aumentando sempre di più le possibilità di sopravvivenza dei bambini prematuri, e anticipando l’età in cui è possibile salvarli. Di conseguenza, questo ha comportato anche un cambiamento nella “soglia” di sopravvivenza autonoma del feto fuori dal corpo della madre, andando a toccare un nervo scoperto della legge 194. Teniamo conto che l’aborto in fase così avanzata assomiglia a un parto, e che talvolta il feto nasce vivo; e che si sono verificati casi in cui un bambino abortito è stato rianimato e salvato. Ovviamente, gli abortisti spingono affinchè quel momento di capacità di vita autonoma sia portato il più in là possibile, allo scopo di assicurare la maggiore ampiezza all’autodeterminazione della donna; gli antiabortisti invece sperano, come Oskar Schindler nel famoso film girato da Steven Spielberg nel 1993, di poter “rosicchiare” un po’ alla volta il termine massimo di età gestazionale, oltre il quale abortire non è più legale. Questo aveva fatto la Regione Lombardia, emanando delle linee guida che raccomandavano ai medici di non procedere all’aborto quando il feto avesse compiuto 22 settimane più 3 giorni. Dopo tale termine si presumeva la possibilità di vita autonoma del feto e quindi l’aborto diventava illegale a norma della stessa legge 194.

Il Tar ha spazzato via quelle linee guida, e si capisce facilmente il perché: la 194 deve essere difesa e applicata nel rispetto della sua indistruttibile radice libertaria e mortifera, e quelle linee guida incrinavano quella visione, seppure in misura periferica e marginale. Di per sé, la Ragione Lombardia dice il vero quando afferma di non aver compiuto alcun golpe contro la 194, poiché le linee guida non contraddicono il testo della norma, ma forniscono un’interpretazione medico-tecnica. D’altra parte, il Tar ha buon gioco nell’usare l’arma formalistica della legge per giocare la sua partita ideologica, ricordando alla regione che l’effetto delle linee guida è – in punta di diritto – una limitazione a un potere (di vita e di morte) che la 194 affida alla donna e solo a lei.

Ricapitolando: Regione Lombardia vuole salvare qualche bambino in più dalla “strage legalizzata” che chiamiamo legge 194, dichiarando però che non può né intende violare la legge italiana; il Tar dice che la 194 non si tocca, e che essa contiene già tutta la tutela che serve al concepito. Morale della vicenda: Roberto Formigoni e i suoi collaboratori hanno fatto bene a tentare, e faranno bene a insistere, incuneandosi nelle maglie del diritto vigente. Ma occorrerà che, prima o poi, si riconosca pubblicamente la verità: e cioè che, vigente la legge 194 del 1978, la tutela dei bambini non ancora nati è, sul piano giuridico, impossibile.