Talebani alle elezioni afgane: 18 anni di guerra invano
Diciotto anni di guerra e 3600 militari della Nato uccisi per vedere tornare in auge i Talebani. È quel che potrebbe accadere molto presto in Afghanistan. In cambio di una pace, del tutto priva di garanzie, possono presentare un loro candidato alla presidenza. È quanto annunciato dal premier di Kabul.
Diciotto anni di guerra inutile, decine di migliaia di morti inclusi 3.600 militari occidentali (tra i quali 2.430 americani, 455 britannici e 54 italiani) caduti senza scopo nel conflitto che avrebbe dovuto sconfiggere i Talebani e assicurare democrazia e libertà al popolo afghano. Un prezzo di sangue spaventoso, a cui aggiungere costi materiali per centinaia di miliardi di dollari nella guerra più lunga degli ultimi due secoli e che sembra ora destinata a concludersi con lo sdoganamento dei Talebani.
Il portavoce di Abdullah Abdullah, Chief executive officer della Repubblica afghana (di fatto il numero 2 di Kabul dopo il presidente Ashraf Ghabni) ha annunciato ieri che i Talebani potranno partecipare alle elezioni presidenziali se accetteranno di sedersi al tavolo di pace con il governo di Kabul e far cessare la guerra.
“Le porte sono aperte in qualunque momento essi vogliano venire per discutere con il governo afghano e prendere parte al palcoscenico democratico e nazionale”. Le elezioni per scegliere il nuovo presidente si terranno il 28 settembre ma la campagna elettorale inizierà in via ufficiale tra due giorni e al momento ci sono già 18 candidati tra cui il presidente Ghani.
Finora i Talebani, fautori dello Stato basato sulla sharia, hanno rifiutato il concetto stesso di democrazia e ogni negoziato con il governo afghano, “fantoccio” di Washington. Con gli Usa però i Talebani stanno trovando importanti intese nei colloqui di Doha, in Qatar, basate sull'impegno dei Talebani a tenere i “terroristi” fuori dall' Afghanistan, di fatto a non dare più asilo ad al-Qaeda (o allo Stato Islamico) come accadde in passato. In cambio gli USA ritirerebbero le loro truppe dal paese, circa 15 mila militari allo stato attuale, seguiti dagli altri contingenti occidentali (8mila militari tra i quali 700 italiani).
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha ribadito che vorrebbe portare via i soldati americani dall'Afghanistan il prima possibile, puntando a spendere questo ritiro (e quello parziale dalla Siria) sul piano elettorale per conquistare il suo secondo mandato alla Casa Bianca a fine 2020.
Un approccio simile a quello del suo predecessore, che suscita non poche critiche. Un accordo raffazzonato e affrettato favorirà forse la rielezione di Trump ma non darà alcuna garanzia all’Afghanistan dove anche oggi i Talebani costituiscono a principale minaccia alla sicurezza e controllano oltre la metà del territorio. Militari e poliziotti afghani vengono uccisi o feriti al ritmo di circa 500 al mese negli scontri con i Talebani le cui perdite non sono rese note. Secondo le Nazioni Unite, nel 2018 gli scontri hanno provocato 3.804 vittime tra la popolazione, inclusi 927 bambini.
Mentre il governo afghano annunciava l’apertura nei confronti di un candidato talebano alla presidenza di Kabul, in tre città afghane gli attentati provocavano oltre 50 morti, di cui 10 nella capitale. Per tutta risposta i governi di Stati Uniti e Afghanistan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta ribadendo l’impegno ad accelerare gli sforzi diplomatici per arginare lo spargimento di sangue. Il presidente Ghani e il segretario di Stato americano Mike Pompeo concordano che “è giunta l’ora di accelerare gli sforzi per raggiungere la fine negoziata della guerra in Afghanistan”.
Al di là della fretta con cui Usa e Occidente vogliono ritirarsi da Kabul, non sembra avere alcun senso negoziare l’ingresso nel processo democratico e nelle istituzioni create nel 2001, dopo la caduta del regime Talebano, ai fautori di quello stesso regime, del martirio islamico, a chi usa attentatori suicidi per fare strage, ai fans del jihad, a chi non solo pretende l’obbligo del burqa per tutte le donne ma attacca le scuole femminili buttando acido in faccia alle alunne, a chi lega giubbotti esplosivi addosso a bambini e disabili per mandarli a farsi esplodere ai check-point delle forze afghane e alleate. Un accordo darebbe via libera a Kabul ai Talebani che abbinerebbero armi e pressione sociale e politica approfittando della estrema debolezza di Occidente e governo afghano.
Questo significa vanificare 18 anni di sforzi pagati con tanto sangue (soprattutto afghano), significa che da Kabul presto fuggiranno in tanti (come da Saigon nell’aprile 1975) ma soprattutto significa che gli Usa e l’Occidente hanno deciso che dopo aver perso la guerra in Afghanistan con l’affrettato ritiro del grosso delle truppe tra il 2011 e il 2014 voluto da Barack Obama, è giunto il momento di perdere anche la pace. Anche perché ogni impegno dei Talebani a non accogliere terroristi sul suolo afghano rappresenta un’ironica contraddizione in termini: i terroristi più sanguinari in Afghanistan sono proprio i Talebani.