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Taglio delle tasse? Questione politica

  • Partita a tre - Berlusconi, Tremonti, Lega - per recuperare il consenso degli elettori.
  • Le vere riforme necessarie - drastico taglio della spesa, dimezzamento del numero dei parlamentari, abolizione delle province e così via - sono difficili da attuare per via della debolezza del premier.
  • L'unica strada rimasta è l'aumento dell'Iva, ma potrebbe avere effetti controproducenti per l'economia.

Attualità 16_06_2011
il trio

Può capitare che le buone scelte possano nascere nel modo peggiore. E' quanto c'è da augurarsi per il dibattito in corso sulla riforma fiscale. Le posizioni che si confrontano infatti non fanno che dimostrare come la politica italiana abbia ormai dimenticato la strada maestra, anche se estremamente difficile, del bene comune.

Da una parte infatti c'è il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che ha difeso con giustificato orgoglio la trincea dei conti pubblici negli ultimi anni. Tremonti ha stretto lentamente, ma inesorabilmente la cinghia delle spese e nello stesso tempo ha cercato di recuperare risorse con una lotta serrata all'evasione e, per quanto possibile, ai paradisi fiscali. Dall'altra c'è il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ancora più arrabbiato dopo l'esito delle amministrative e dei referendum e che imputa proprio alla mancata riforma del fisco la perdita di consensi per la maggioranza.
In mezzo (in senso politico) c'è la Lega, che vede in Tremonti il ministro più vicino alle sue posizioni politiche e che ha sempre difeso il progetto federalista di Bossi, ma  che nello stesso tempo vorrebbe maggiore coraggio nella strategia di intervento sul fronte della politica fiscale.

In questa disputa politica sono tuttavia le famiglie e le imprese quelle che rischiano di restare con il cerino in mano in un confronto altrettanto dialettico, quanto, per ora, inconcludente. Perchè l'esito più probabile è che una riforma si faccia, salvo imprevisti politici estivi, ma senza la possibilità di ridurre in modo strutturale una pressione fiscale destinata a restare tra le più alte nei paesi europei.
Tremonti ha già detto infatti che la riforma dovrà essere fatta senza intaccare i saldi di bilancio e questo è possibile solo con due strade: o si abbassano le tasse e nello stesso tempo si riducono le spese dello Stato (facile a dirsi, quanto difficile a farsi) , o si fa un po' di cosmetica fiscale semplificando il sistema (per esempio con tre aliquote Irpef rispetto alla cinque attuali), ma senza significativi effetti sugli equilibri sociali ed economici.

Tra le ipotesi vi è per esempio quella di aumentare l'Iva, l'imposta che colpisce i consumi, per diminuire l'Irpef, l'imposta sulle persone fisiche. Una manovra sul tipo di quella che ha fatto la Germania nel 2007 e che viene considerata come uno dei fattori che è stato alla base dell'attuale forte ripresa economica tedesca dato che l'aumento dell'Iva non ha effetti sulle industrie che lavorano per l'esportazione e sono proprio queste industrie a trainare ora l’economia di Berlino.

Ma per inquadrare il problema non bisogna dimenticare alcuni altri elementi.

1) L'aliquota dell'Iva in Italia (20%, salvo una piccola quota del 4% per i beni essenziali come il pane, e del 10% per bar, ristoranti e servizi turistici) è attualmente una delle più alte d'Europa. La stessa Germania ha sì fatto salire l'aliquota dell'Iva, ma dal 16 al 19%. Anche altri paesi hanno aumentato l'Iva negli ultimi mesi, ma  non è una bella compagnia: si tratta infatti di Grecia, Portogallo, Ungheria, Lettonia e Lituania. La Francia ha l'Iva al 19%, la Gran Bretagna al 17,5% per non parlare della Svizzera  che si ferma al 7,6%.

2) Aumentare l'Iva vuol dire aumentare automaticamente anche i prezzi dei beni e servizi e quindi soffiare sul fuoco dell'inflazione. E in Italia, così come negli altri paesi europei, l'inflazione è già in  rialzo per effetto dei rincari esterni dei prodotti petroliferi e degli alimentari di base e quindi vi sarebbe bisogno più di un freno che di un ulteriore stimolo alla crescita dei prezzi.

3) Una manovra di questo tipo ha un risultato abbastanza incerto come gettito sia perchè l'Iva è un'imposta per la quale è già ora forte l’evasione, sia perché ad un aumento del carico fiscale, e quindi dei prezzi, potrebbe corrispondere una contrazione dei consumi.

Un punto di Iva in più potrebbe comunque valere circa 10 miliardi di gettito supplementare, una somma in apparenza rilevante che potrebbe permettere una riduzione di analoga portata delle imposte dirette. I contribuenti italiani sono circa 40 milioni, e il 90% di questi dichiara redditi inferiori ai 35mila euro. Se si pensa ad una manovra concentrata sulle fasce basse si potrebbe avere una riduzione dell’Irpef pari a circa 300 euro l’anno, 25 euro al mese in media in più nelle buste paga degli italiani.

Come dire. Meglio di niente. Ma un aumento probabilmente insufficiente a rilanciare l’economia. E forse anche a ridare ossigeno all’affaticato consenso per la maggioranza di governo.
L’alternativa sarebbe quella di una riduzione molto più coraggiosa delle aliquote dell’imposta sui redditi grazie ad un taglio altrettanto coraggioso della spesa pubblica con quelle riforme strutturali (dimezzamento del numero dei parlamentari, abolizione della dimensione politica delle province,  innalzamento rapido dell’età pensionabile) che tuttavia non hanno nessuna speranza di essere attuate.