Tagli alla Sanità? Troppo poco, meglio decapitarla
Il governo cerca una decina di miliardi e li andrà a cercare nelle casse della Sanità. Magari tagliando subito le prescrizioni mediche inutili che costano al Servizio nazionale sui 13 miliardi annui. Bene, anzi no. Perché in Italia mancano sempre i quattrini tranne che per le fesserie demagogiche e politicamente corrette.
Si dice che il governo cerchi una decina di miliardi per la prossima Legge di Stabilità (che prima si chiamava in un altro modo, ma l’eufemismo politicamente corretto è stato inventato apposta per indorare pillole acide) e che ci sta che vada a frugare nelle casse della Sanità. La ministra apposita ha puntato, intanto, il dito sulle «prescrizioni inutili» che costano al Servizio nazionale sui 13 miliardi annui. Giustissimo, dal momento che ci sono Regioni in cui la mutua passa anche il cambio di sesso e comfort genitali vari (ma non credo che la ministra pensasse a ciò). In effetti, lo spreco si tocca con mano, e vado agli esempi.
Quest’inverno mia moglie, per un malore, è caduta picchiando la faccia. Pronto soccorso. Tutta la notte, perché, dato il trauma facciale, i medici hanno eseguito tac, risonanze e quant’altro. Finiti questi accertamenti (dopo ore per rispetto delle precedenze), ho chiesto se potevo riportarla a casa. No, perché i protocolli prevedevano un’attesa di almeno sei ore. Che ho trascorso seduto in saletta d’aspetto, privo pure delle monete per una bottiglietta d’acqua alla macchinetta. Non c’era neanche niente da leggere per passare il tempo. A un certo punto, intravisto il medico di turno, ho chiesto perché mia moglie doveva star ancora lì per un taglietto in fronte. Mi ha risposto che lui aveva passato la mattinata in tribunale, avendo a suo tempo dimesso un paziente che aveva preso una botta, ma non accusava dolori; invece c’era un osso rotto e, in assenza di dolore, il medico non se ne era accorto. Così, da quel giorno, aveva deciso di fare come il Ciampa pirandelliano, che «metteva le mani avanti» sempre e comunque giacché non si sapeva mai. Meglio aver paura che buscarle, dicono i toscani.
É mutata un’epoca e un altro esempio servirà a chiarirlo. Da giovane, mentre ero al volante, un Tir mi passò letteralmente di sopra, riducendomi avviluppato in un groviglio di lamiere. Per puro miracolo ero illeso, solo un’escoriazione alla testa e il viso imbrattato di sangue. Visto che ero incolume, la Polstrada mi chiese di reggerle il metro per le misurazioni di rito. Dopo un paio d’ore, trovato un passaggio, mi presentai al più vicino Pronto Soccorso. Attesi altre due ore. Chiesi al medico se era il caso di farmi una radiografia. Mi disse che non serviva, perché a quel punto sarei già morto da un pezzo. Chiesi allora qualcosa per la ferita al cuoio capelluto. Rispose di no, altrimenti mi sarebbe venuta una gran crosta antiestetica. Morale: mi alzai e me ne andai con le mie gambe, viso alla Terminator. A quel tempo, insomma, i medici agivano in scienza e coscienza, sì, ma con prevalente buonsenso. Qualcuno sbagliava, certo, ma l’enfasi mediatica sulla “malasanità” ancora non infestava i Tg.
Tra le tante usanze di cui l’american way of life ci ha inondato nel frattempo c’è anche quella di andare dal medico sottobraccio all’avvocato e al giornalista. Il risultato è che il medico, a scanso di guai, prescrive di tutto e di più. Anche perché le assicurazioni sono restie a coprire le categorie «a rischio» (come quel gioielliere romano ammazzato di recente per resistenza alla rapina: era l’ennesima e le compagnie non volevano più assicurarlo; fosse stato coperto, magari non avrebbe colluttato). D’altra parte, il popolo si lascia plagiare volentieri dagli aizzatori di professione. Solo che, un tempo, questi ultimi erano il vicino di casa o la cognata pettegola. Oggi sono avvocati, sindacalisti, giornalisti, politicanti, centri c.d. sociali etc.
Mi si consenta un ultimo esempio personale (l’esperienza è meglio di un master alla Columbia University). Tra i mille mestieri della mia complessa esistenza annovero anche l’informatore scientifico (vulgo: rappresentante di medicinali). Dovendo attendere il mio turno negli studi medici, ascoltavo le chiacchiere di chi entrava e/o usciva. Tra questi ultimi c’era chi, ricetta in mano, proclamava agli astanti: «Ma io tutta questa roba non ho mica intenzione di ingoiarla!». Già, però ormai era stata prescritta (e io pago, diceva Totò). E c’era chi, à la contraire, scorsa la ricetta si lamentava: «Ma non mi ha segnato quasi niente!». Sottinteso: andrò a cercarmi un altro medico, uno che prenda sul serio i miei mali. Ma adesso basta con gli esempi. L’american way of life ha pure un altro lato, positivo, della medaglia. Solo che in un Paese catto-comunista come l’Italia, nato giacobin-statalista e ormai in procinto di morire di male genetico, le americanate finiscono regolarmente in pateracchi ai danni del popolo bue. Così, eccoci ai ministri e governi che allargano le braccia e fanno proprio il grido di dolore di Tino Scotti: «Bambole, non c’è più una lira!». Sottinteso: tranne che per le fesserie demagogiche e politicamente corrette.