Susanna Tamaro, quanta profondità in poche pagine
La Via Crucis riletta e meditata nel nuovo libro di Susanna Tamaro. Stazione, meditazione, preghiera, brano finale dello Stabat Mater, in un libro tanto piccolo quanto profondo, che tocca la fede, la sorte dei cristiani e della Chiesa.
Non c’è quasi romanzo americano che non consti di almeno cinquecento pagine. I provinciales lo sanno e si accodano. Perfino il mitico Umberto Eco, col suo Nome della Rosa, si adeguò. Ma gli americani, si sa, monetizzano tutto, non c’è da aspettarsi altro da una nazione creatasi per motivi di soldi (la settecentesca guerra d’indipendenza non fu che un’indipendenza dalle tasse britanniche). E gli «alti ideali» per cui fanno da sempre i «guardiani della democrazia nel mondo» sono solo quelli, economici, nazionali. Si badi, non c’è nulla di antiamericano in questo discorso: potendo, anche noi faremmo lo stesso. Ora, un americano medio fa questo ragionamento: se devo spendere sui venti dollari per un libro, voglio che il godimento duri almeno una settimana. Da qui la voluminosità media dei romanzi americani.
Ma un vero scrittore, a meno che non racconti una saga generazionale, non ha bisogno di centinaia di pagine. Grandi scrittori, per esempio, si sono cimentati col genere «aforisma», che per sua natura è stringatissimo. La capacità di cogliere quel che agli altri sfugge (cifra del grande scrittore) emerge meglio nella concisione. Non a caso il più grande comunicatore di tutti i tempi, Gesù, si esprimeva in parabole, cioè racconti brevissimi, storie di poche righe ognuna delle quali conteneva un universo. Per questo una delle nostre grandi scrittrici (forse l’unica), Susanna Tamaro, ha scelto di scrivere libri brevi. Anzi, sempre più brevi, come l’ultimo, Meditazioni sulla Passione, che si presenta pure in piccolo formato. Non è altro che una Via Crucis, come quelle che il papa presiede il Venerdì Santo al Colosseo: stazione, meditazione, preghiera, brano finale dello Stabat Mater.
Ma ecco la profondità della riflessione: «Ci sono frasi di Gesù che amiamo molto. Anche chi con Lui ha una frequentazione scarsa sa ripeterle senza alcun inciampo, mentre ce ne sono altre –e non poche- che preferiamo tenere in un cono d’ombra. Ci inquietano e noi non vogliamo essere inquietati, vogliamo essere rasserenati». Quando, nell’VIII Stazione, Gesù incontra le pie donne, dice loro di non piangere su di lui ma su se stesse e i loro figli. Malagrazia di Gesù nei confronti delle prefiche? Ricambia la loro compassione con una minacciosa profezia? Tamaro: «Ma la profondità del Suo sguardo sa sempre discernere tra ciò che sembra e ciò che è vero. Le lacrime della convenzione parlano di un dolore esterno, puramente scenografico. Si sfoga l’emotività, ci si sente meglio e poi tutto torna come prima». Alla meditazione segue la preghiera: «Signore Gesù, quante lacrime vuote inondano i nostri giorni! Basta guardare un qualsiasi programma televisivo per esserne travolti». No, le lacrime che veramente lavano sono quelle di «un cuore di plastica, un cuore di pietra che, all’improvviso, scopre di essere di carne (…). Prima non vedevo e ora vedo, per questo piango».
La stazione in cui Gesù è spogliato delle sue vesti genera questa preghiera: «Quando penso alla Tua nudità mi ricordo che l’ottanta per cento delle persecuzioni religiose nel mondo, ora, riguarda i cristiani. È sempre la Tua parola a suscitare l’odio di chi ama le tenebre (…). Donaci la nudità dell’innocenza, il coraggio di andare sempre incontro al male cantando». Il terremoto che segue la morte di Gesù: «I terremoti conducono a noi la forza dell’annientamento. Ciò che abbiamo costruito, in pochi istanti crolla, scompare, ritorna indistinto (…). Credevamo di avere il mondo in pugno e invece è il mondo a tenerci in pugno». Il grido di Gesù, «Dio mio, perché mi hai abbandonato?»: invece di «fare scandalo, queste Sue parole ci confortano», perché indicano che Dio sa bene che cosa spesso patiamo.
La scrittrice va oltre, e in un’altra stazione fa sue le parole di rammarico che Benedetto XVI pronunciò, a proposito della Chiesa, in una storica Via Crucis: «Signore Gesù, la Chiesa in cui il Tuo spirito continua a vivere è una barca su cui nessuno vuole più salire». Ma è interessante che, tra le cause elencate, ci siano la «troppa incapacità di parlare alla disperata solitudine dell’uomo contemporaneo» e, significativamente, la «troppa banale liturgica bruttezza». Alla prima sembra stia egregiamente ovviando la strategia comunicativa di papa Francesco, fatta, appunto, più di gesti che di parole. Per la seconda, temo che dovremo pazientare ancora un bel pezzo, anche se gli spiriti più sensibili (come la Tamaro, ma pure, a suo tempo, Agatha Christie) scalpitano insofferenti. Ma qui rischio di usare troppe parole, laddove al grande scrittore, come sappiamo, basta una laconica frase: un sasso nello stagno, e i cerchi vanno fin dove trovano orecchi per intendere.
-Susanna Tamaro, Meditazioni sulla Passione, con Nota dell’arcivescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi. Bompiani, pp. 93.