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ARTE SACRA

Suor Teresa Benedetta, la scrittrice di icone

Storia di Suor Teresa Benedetta, scrittrice di icone. Dalla prima passione artistica alla sua vocazione che l'ha portata a diventare monaca nel Carmelo di Concenedo. "Le scritture iconografiche non sono un prodotto personale", dice Suor Teresa Benedetta e sotto il loro sguardo "impariamo a lodare e ringraziare il Signore".

Cultura 09_12_2016
Teresa di Gesù Bambino

Nella Chiesa del Monastero delle Carmelitane Scalze a Concenedo, a pochi chilometri da Lecco, ad attrarre subito il nostro sguardo è la luce intensa di tre raffigurazioni sacre, precisamente tre icone: Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo; San Giuseppe e la Theotokos del Roveto Ardente. L’autrice è Teresa Benedetta, 48 anni, lecchese, ex allieva del Liceo Artistico Medardo Rosso, studentessa di Teologia presso l’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona, Iconografa, membro dell’accreditata Scuola Iconografica di Seriate, Bergamo.

L’anno scorso ha anche vinto un premio nel Concorso internazionale interreligioso indetto dal Cites di Avila, in occasione dei 500 anni dalla nascita di Teresa di Gesù. Le tre icone in Chiesa, veri e propri “canti” che danno gloria alla Bellezza di Dio sono stimolo per la preghiera e festa per i nostri occhi. Il loro fondo, come dice l’autrice, è d’oro, il colore dei colori, il riflesso per eccellenza della luce naturale, simbolo di quella Divina che trasfigura chi contempla. Nelle giornate terse, trasparenti di sole, la vetrata della Chiesa le fa risplendere. «Sotto il loro sguardo ci sentiamo amati, rimaniamo nella verità di quello che siamo e impariamo a lodare e ringraziare il Signore», dice Suor Teresa Benedetta. 

«Ho conosciuto le icone negli anni Novanta, prima di entrare in monastero. A quel tempo frequentavo la casa di Preghiera di Tavodo, Trento, e una volta mi sono stati proposti degli esercizi spirituali partendo dalla contemplazione della Trinità dell’iconografo russo Andrej Rublev». Dato che Teresa Benedetta aveva una formazione artistica ha pensato che avrebbe voluto subito dipingere un’icona (ai tempi, da profana non sapeva che l’icona si scrive!). Don Vigilio Covi, che guida la fraternità “Gesù Risorto” che abita in quella casa, le spiegò che iconografi non ci si improvvisa, avrebbe dovuto impegnarsi in una scuola e inserirsi nell’ambito della Tradizione della Chiesa. Il don le diede il nome di un sacerdote, Padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana e della Scuola iconografica di Seriate (Bergamo). Ai tempi, le condizioni economiche però non le permettevano di frequentarla, così questo sogno è stato accantonato. Teresa Benedetta non sapeva ancora che le icone sarebbero diventate parte integrante della sua vocazione. In quel momento e per molto tempo furono solo oggetto di contemplazione e meditazioni. 

«Dopo anni di discernimento – racconta - dico “si” alla chiamata per diventare monaca nel Carmelo di Concenedo, l’anno prima di entrare, parlando con Suor Cristiana Maria, la nostra attuale priora, le esprimo il mio desiderio di scrivere icone, lei mi dà l’indirizzo di una scuola: grande la mia sorpresa nel vedere che si trattava della stessa proposta da don Virgilio. Contatto gli insegnanti e mi iscrivo al corso base. Alla fine del secondo anno di frequenza scrivo la mia prima icona, un Cristo Pantocrator. Entro poi in monastero e l’icona viene ad abitare la mia cella, appesa ad oriente, luogo dell’Eden e punto di riferimento per tutti i fedeli fin dall’antichità durante le preghiere». 

«Le scritture iconografiche  – continua - non sono un prodotto personale, ma sono fatte nella Chiesa e per la Chiesa, ecco la necessità di collaborare con altri iconografi e soprattutto di esser guidati da un maestro». Dopo gli anni di noviziato, le viene dato il permesso di uscire dal monastero una volta l’anno per frequentare i corsi che tutti i mesi di luglio la scuola ripropone. «Ho avuto – dice Teresa Benedetta - il grande dono di incontrare tanti amici e maestri, tra cui Ornella Buffoli, anche lei allieva e per un periodo maestra nella scuola, e Pavel, monaco ortodosso e attuale mio maestro. Grazie al loro aiuto il mio lavoro è migliorato, sono cresciuta in tecnica, ma soprattutto in comprensione di questo dono che fa da ponte tra le Chiese, l’Ortodossa e la Cattolica, pensiamo solo che l’icona era patrimonio comune tra la Chiesa indivisa dei primi secoli del cristianesimo». 

Teresa Benedetta non avrebbe mai immaginato di dedicarsi a questa forma d’arte che richiede tanta pazienza e tanto studio. Da ragazza era più “on-the-road”, come forse direbbe uno dei suoi cantanti preferiti. Amava, infatti, i viaggi e lo sport: ha visitato l’Europa con l’interrail, zaino in spalla, trovando riparo in posti di fortuna; amava i concerti in particolare quelli dei Pink Floyd e di Sting; praticava nuoto, vela, sub, equitazione, camminava in montagna. Ma soprattutto Teresa Benedetta ha lavorato duro e per mantenersi agli studi ha fatto l’educatrice anche fra i tossicodipenti oltre che educatrice domiciliare, nel Centro Ricreativo Estivo e nell’Informagiovani del Comune di Lecco. Per lei studiare è stato un cocktail di determinazione, volontà, amore del sapere e non una conferma sociale, come tante volte accade. Ora è ancora in contatto e continua il percorso di crescita nella Fede con i “suoi ragazzi”, la maggior parte sposati e con prole. Ma Dio, lo scrittore di icone per eccellenza, aveva per la sua biografia un altro stile narrativo. 

Per alcuni anni è stata guidata nel discernimento della sua vocazione da un padre spirituale, don Gabriele Gioia, che l’accompagna ancora adesso. Una vita piena e appagata prima di entrare in monastero, ma con dentro un vuoto, un desiderio e delle domande di senso che solo il Signore può colmare. Dentro sempre la consapevolezza di essere interpellati continuamente “cosa cercate?” Nella certezza che la Verità è totalmente Altro (Dio), che si sta sempre, per salire al monte Carmelo con il terreno che frana sotto i piedi... L’iter spirituale l’ha portata alla chiamata al Carmelo in una giornata di sole abbagliante nel giugno del 1998 durante un ritiro nel monastero dove risiede.

«Quando scelgo e scrivo un’icona studio il soggetto, riferendomi ai maestri del passato e ai miei maestri attuali, spesso faccio riferimento alle icone dell’Archimandrita Theodor Zinon e del monaco ortodosso Pavel (Beztchasnyi Victor Vladimirovic). Uso solo materiali naturali. Non dimentichiamolo: tutto il creato è coinvolto in questa “scrittura”, il mondo minerale (terre e minerali usati per i colori), quello animale (colle e pennelli – sono di vajo, scoiattolo) e quello vegetale (tavola di tiglio, tela di lino o cotone e alcuni colori)». In base alle misure si prepara la tavola: viene scavata, incollata la tela, gessata con levkas, e levigata. Si disegna il soggetto e si dora (doratura a foglia d’oro con oro a 23 carati) il fondo e il nimbo (aureola), e si procede a modellare le ombre con il colore, ottenuto dalla macinazione di terre e minerali, miscelati con uovo, secondo la tecnica antica.

Si procede poi per velature e passo dopo passo il soggetto prende consistenza. Grande attenzione nel lavorare i volti e lo sguardo, decisivo per l’icona e per la relazione che si instaura tra la stessa e chi prega. In ultimo l’assit, decorazioni sulle vesti, con oro in polvere miscelato a gomma arabica, e le scritte, in cui si mette il nome del soggetto rappresentato. Dopo almeno un mese in cui l’icona va lasciata asciugare, si procede con la verniciatura, si usa la copale, mistura di varie resine. A questo punto l’icona è pronta per diventare un sacramentale ricevendo la benedizione del sacerdote.