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EDITORIALE

Sull'eterologa le Regioni corrono, Renzi fa il furbo

Accordo fra Regioni per avviare da subito la fecondazione eterologa: sarà pagata dal Servizio sanitario che sacrificherà altre fasce di malati. Il governo invoca ancora una legge dal Parlamento, ma è solo fumo negli occhi: quando vuole, il premier usa l'arma del decreto-legge.

Editoriali 05_09_2014
Fecondazione artificiale

Come era prevedibile, le maglie della PMA di tipo eterologo, allargate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162, sono state ulteriormente dilatate al tavolo delle Regioni. In attesa di leggere la versione definitiva del documento frutto dell’accordo fra gli assessori e i presidenti, sono tre gli aspetti che destano le più forti riserve:

a. la mancanza di chiarezza sulla tracciabilità fra donatore e nato. Non si comprende come saranno evitate le unioni artificiali fra gameti e ovuli di persone con legami di parentela, e su come invece sarà permesso nell’interesse del nato da una PMA-eterologa una anamnesi completa, che includa i dati riguardanti la salute del donatore;

b. la copertura finanziaria. Da anni è all’ordine del giorno la razionalizzazione della spesa pubblica, in primis quella nel settore della sanità, continuano a chiudersi ospedali e reparti, si fa spending review perfino sui chemioterapici: poiché dall’accordo fra le Regioni non viene fuori un incremento di spesa per far fronte alla PMA eterologa – si prevede il ticket, che corrisponderà a una percentuale minima della spesa effettivamente sostenuta –, è lecito domandarsi a scapito di quali categorie di pazienti e di quali patologie saranno trovate le risorse necessarie;

c. la tendenziale compatibilità fra le caratteristiche fisiche dei genitori e quelle del nato. Seguendo un orientamento diverso da quello espresso dal ministro Lorenzin nell’audizione alla Camera del 29 luglio, le linee-guida delle Regioni stabiliscono che il colore della pelle (anche quello degli occhi o dei capelli) deve essere per quanto possibile eguale a quello dei genitori. Qui bisogna mettersi d’accordo: su queste colonne abbiamo contestato la logica che pone sul medesimo piano la PMA eterologa e l’adozione; si tratta di scelte che hanno presupposti, finalità e mentalità completamente diversi. Ma sia nelle decisioni della Consulta che in quelle di giudici di merito – da ultimo, il Tribunale per i minorenni di Roma – si stabiliscono analogie fra l’una e l’altra, traendone conseguenze in termini di disciplina giuridica. L’analogia non può valere a intermittenza: se si richiama, per applicarla, la regolamentazione dell’adozione, va ricordata che quest’ultima non è a la carte; a maggior ragione non può esserlo neanche la fecondazione eterologa.

Le riserve riguardano la natura dello strumento prescelto: le linee-guida delle Regioni sono un atto amministrativo, e intervengono in una materia che coinvolge diritti, taluni di rilievo costituzionale. Un atto amministrativo può essere impugnato al Tar da chiunque sia interessato, e non è esclusa la ricorribilità al giudice ordinario per la tutela di diritti ritenuti essenziali: in assenza del recepimento da parte di una legge dello Stato dei limiti all’eterologa ritenuti sussistenti dalla Consulta, le linee guida concordate qualche ora fa saranno superate o disattese per sentenza o ordinanza. 

E qui torniamo all’aspetto più misterioso della vicenda della PMA eterologa: il governo, tramite il ministro della Salute, conferma ancora oggi la necessità di una legge, ma ha già scelto di non adottare un decreto-legge, non presenta un proprio disegno di legge, e continua ad auspicare l’iniziativa del Parlamento. Dalle Camere tutto tace, sia da parte dei gruppi sia da parte di singoli. Andando alla sostanza, oltre le parole pronunciate, nei sei mesi abbondanti di governo Renzi la prassi sui temi eticamente sensibili è la seguente: quando altri rispetto all’esecutivo – la Corte costituzionale, la magistratura, le Regioni – adottano iniziative per conto loro, anche praeter o contra legem, si lascia fare e non si interviene, neanche per contenere i danni; potendo, il governo lascia volentieri ad altri il “lavoro sporco” e le conseguenti polemiche.

Quando invece l’esecutivo ritiene di prendere l’iniziativa, lo fa con decreto legge, seguito da assenza di dibattito e da voto di fiducia: è stato così con la droga, sarà così col divorzio concordato fra avvocati. Il risultato è che le novità intervenute negli ultimi sei mesi su questioni cruciali di vita quotidiana sono tutte di segno pesantemente negativo: osiamo dire al presidente del Consiglio, e ai componenti del suo governo e della sua maggioranza, che ce ne siamo accorti.