Sulla Cina il Vaticano bara
La Santa Sede ha deciso di proporre il prolungamento dell'Accordo sulla nomina dei vescovi, e ha affidato ad Andrea Tornielli il compito di spiegarne le ragioni. Ma per poter sostenere la positività dell'accordo, Tornielli descrive una realtà cinese che esiste solo nell'immaginazione di chi vuole questo Accordo a tutti i costi.
Che la Santa Sede avesse tutta l’intenzione di prorogare l’accordo con la Cina per la nomina dei vescovi in scadenza in ottobre, era chiaro da tempo. Ma l’altra sera è arrivata l’ufficiosità con un editoriale su Vatican News di Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, da sempre vicinissimo a papa Francesco.
Lasciamo perdere il fatto che tale annuncio sia stato fatto a poche ore dall’arrivo a Roma del segretario di Stato Usa Mike Pompeo, dandogli così un connotato chiaramente politico e polemico con le critiche Usa al dialogo vaticano con la Cina. Soffermiamoci invece sul contenuto dell’articolo che, per la prima volta, esplicita le ragioni della Santa Sede per continuare sulla strada intrapresa.
Il succo del discorso è questo: l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, poteva forse produrre maggiori frutti, ma passi positivi ce ne sono comunque stati (malgrado dieci mesi di lockdown causa Covid-19) e quindi è giusto proseguire su questa strada. Un discorso semplice, lineare, coerente. Peccato che per ottenere tale logica conclusione Tornielli abbia cambiato le carte in tavola, e anche la tavola stessa.
Vediamo i singoli passaggi. Sottolinea Tornielli che l’accordo in questione è «sempre stato genuinamente pastorale», cioè riguarda esclusivamente la nomina dei vescovi: quindi non politico, non diplomatico e non riguarda neppure «i rapporti tra il clero e le autorità del paese». In realtà che l’accordo sia circoscritto alle procedure di nomina dei vescovi nessuno lo ha mai contestato: se non altro perché nessuno conosce il contenuto di questo accordo (scandalosamente tenuto ancora segreto) e quindi si sta alle dichiarazioni delle parti. Ma detto questo come si può pensare che la nomina dei vescovi si possa totalmente isolare dalla condizione della Chiesa – e quindi dei cattolici - in Cina? La situazione da questo punto di vista è enormemente peggiorata, la repressione si è fatta più intensa, contro le persone, contro gli edifici di culto e ogni simbolo cristiano.
Il regime cinese sta di fatto usando l’accordo con la Santa Sede per avere carta bianca nella repressione dei cattolici. E il Vaticano si comporta come chi per salvare un armadio in camera accettasse di veder distrutta tutta la casa: un controsenso.
Inoltre che l’accordo non riguardi «i rapporti tra il clero e le autorità del paese» è smentito dagli stessi documenti vaticani. Il 28 giugno 2019 infatti, la Santa Sede ha pubblicato gli “Orientamenti pastorali circa la registrazione civile del clero in Cina”, in cui si fa esplicito riferimento all’Accordo provvisorio del 22 settembre 2018 per giustificare l’indipendenza della Chiesa cinese e l’invito della Santa Sede ai preti a registrarsi presso l’Associazione patriottica, ovvero la Chiesa ufficiale controllata dal Partito Comunista.
E ancora: il problema della segretezza, come detto sopra, aggrava non poco la situazione perché i cattolici cinesi, chiamati a obbedire al Papa, non sanno neanche a cosa devono obbedire mentre sull’altro fronte il regime comunista ha buon gioco a imporre qualsiasi misura facendosi scudo con un presunto consenso del Papa. Si tratta dunque di un gioco diplomatico fatto sulla pelle dei cattolici cinesi.
Ma il meglio deve ancora venire, ed è quando Tornielli passa ad elencare i risultati positivi dell’accordo proprio riguardo alla nomina dei vescovi, tali che «suggeriscono di andare avanti con l’applicazione dell’Accordo per un altro periodo di tempo». Dice il gran capo della comunicazione vaticana: «I primi due anni hanno portato a nuove nomine episcopali con l’accordo di Roma e sono stati riconosciuti ufficialmente dal governo di Pechino alcuni vescovi».
In realtà la prima affermazione è falsa: dopo il 22 settembre 2018 ci sono state due sole nuove ordinazioni episcopali ma erano già state concordate prima dell’Accordo. La seconda affermazione è invece parziale: gli «alcuni vescovi» clandestini riconosciuti da Pechino in realtà sono solo due su 17, mentre al contempo Roma ha legittimato tutti e sette i vescovi scomunicati, affidando loro le rispettive diocesi e in due casi costringendo a dimettersi i vescovi legittimi.
Per una descrizione dettagliata della situazione dei vescovi in Cina, rimandiamo a un’ottima sintesi fatta nel giugno scorso dal vaticanista Sandro Magister (clicca qui). Basti però citare una sola cifra: in Cina ci sono 135 tra diocesi e prefetture apostoliche, di queste solo 72 avevano un vescovo prima del 22 settembre 2018, poco più della metà; l’Accordo doveva servire anche a colmare questo vuoto, ma ad oggi il numero di diocesi coperte è rimasto invariato. A questo si deve aggiungere che alcuni vescovi sono apertamente perseguitati e impediti di svolgere il proprio ministero.
C’è poi un’altra situazione gravissima che viene ignorata da Tornielli: la situazione della diocesi di Hong Kong, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi con una intervista al cardinale Joseph Zen. Qui manca il vescovo dal gennaio 2019, soprattutto per il veto posto da Pechino alla successione dell’attuale vescovo ausiliare, Joseph Ha. E nelle prossime settimane potrebbe essere nominato invece monsignor Peter Choi, considerato gradito a Pechino. La cosa sarebbe gravissima perché la diocesi di Hong Kong – proprio per lo status particolare dell’ex colonia britannica – non rientra nella giurisdizione della Conferenza episcopale cinese e quindi non ha nulla a che fare con l’Accordo in questione. Sarebbe soltanto – e il ritardo nella nomina già lo è – una vergognosa capitolazione davanti al potere politico della Cina comunista.
Ma secondo Tornielli, e ovviamente il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin e il Papa, tutto questo rappresenta uno sviluppo positivo. Bisogna essere davvero abili manipolatori dei fatti per vendere un fallimento totale come fosse un successo. Ma ciò che maggiormente amareggia è il disprezzo per le migliaia di cinesi che hanno pagato con il sangue la loro fedeltà alla Chiesa e al Papa.