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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

Risposta all'analisi di Faggioli

Sul presunto eurocentrismo di Benedetto XVI

Sulla rivista Il Mulino, Massimo Faggioli parla della diversità di paradigma tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, da un lato, e Francesco, dall’altro. Ma alla sua analisi sfugge un elemento importante. Vediamolo.

Dottrina sociale 31_03_2025

L’ultimo numero della rivista Il Mulino è dedicato a “Un quarto di secolo”, ossia ad una visione sintetica e prospettica di questi primi 25 anni del XXI secolo. Tra i temi esaminati c’è anche la Chiesa cattolica, con la transizione tra tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco (Massimo Faggioli, Tre Papi: dall’Europa al Global Catholicism, pp. 88-96). L’osservazione centrale dell’analisi è che Francesco avrebbe de-europeizzato e de-occidentalizzato la Chiesa, anche se i frutti di questo cambiamento «sono tutti ancora da comprendere tanto per il posizionamento della Chiesa quanto per la sua sostenibilità all’interno del sistema ecclesiale ed ecclesiastico». La svolta di Francesco si sarebbe vista nell’opposizione al primo mandato Trump sull’immigrazione e nelle aperture verso l’islam, anche se la guerra dopo il 7 ottobre ha collocato la Santa Sede in una posizione difficile. L’orizzonte di Francesco sarebbe il “Global catholicism” che comporta «una forma sempre meno guidata dal cattolicesimo in Europa e nel mondo occidentale». Una Chiesa “post-europea”, però, secondo Faggioli, presenta anche parecchie difficoltà, come per esempio tenere insieme cattolicità e universalità.

Le analisi di Faggioli sono di geopolitica ecclesiastica. A questo tipo di analisi sfugge un elemento importante circa il senso del cosiddetto “eurocentrismo” di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questo non va interpretato in senso sociologico o socio-politico, ma come la necessità per la Chiesa di tenere insieme fede e ragione, non nel senso di una ragione qualsiasi, ma nel senso di una ragione che ha trovato una formulazione particolarmente adeguata nella filosofia greca e cristiana, maturata appunto in Europa. Qui sono nate anche altre forme di ragione assolutamente contrarie alla fede cattolica, anzi, proprio qui è nato un nuovo tipo di ragione ad essa contraria; però, proprio perché la rottura è avvenuta qui, da qui bisogna ricominciare. Questa era la convinzione di papa Benedetto.

Qui in Europa il Dio dei filosofi ha coinciso con il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe; qui le esigenze del Dio creatore sono state unite a quelle del Dio salvatore, qui la Rivelazione si è basata anche sulla ragione naturale. Questo era il vero motivo dell’“europeismo”, il cui eventuale superamento nel “Global catholicism” manifesta diverse lacune e pericoli per la fede che rischia di aprirsi ad un universalismo astratto. L’attenzione di Benedetto XVI all’Europa, atteggiamento completamente assente in Francesco, non era in contrasto con una visione più ampia di evangelizzazione, ma serviva a precisare proprio i criteri e le finalità dell’evangelizzazione. Non è un caso che, con il successivo cambiamento di paradigma, anche il concetto di evangelizzazione è cambiato e, si può forse dire, è addirittura venuto meno. Con la sua attenzione all’Europa, Benedetto non intendeva che l’evangelizzazione fosse una europeizzazione, ma indicava i suoi presupposti teologici e dottrinali, senza i quali essa può trasformarsi in un generico tentativo di umanizzazione.

Faggioli ha fatto il suo lavoro, ma la politica ecclesiastica non si spiega solo con la politica ecclesiastica.

Stefano Fontana