Suicidio sì, ma non in cliniche private. L'assurda richiesta della PAV
Ascolta la versione audio dell'articolo
Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita. mons. Pegoraro, stupisce ancora chiedendo che il suicidio assistito sia garantito dal Servizio sanitario nazionale. L'associazione "Sui tetti" e il Centro Livatino lo criticano, ma alla fine spingono anche loro per la legge.

La Pontificia Accademia per la Vita (PAV), con le parole del suo nuovo Presidente da poco nominato da papa Leone XIV, mons. Renzo Pegoraro, ha dichiarato di accettare una eventuale prossima legge del Parlamento italiano che preveda l’aiuto al suicidio nei casi già stabiliti dalla Corte costituzionale. Lo ha fatto giorni fa in una intervista al quotidiano La Repubblica di cui la Bussola si è già occupata in un precedente articolo, sottolineando le contraddizioni e le gravi debolezze della posizione assunta dall’organismo della Santa Sede: la linea, purtroppo, rimane quella della presidenza Paglia e questa continuità, dopo la nomina del nuovo Papa, preoccupa non poco.
Ora dobbiamo tornare sul tema perché giovedì 24 luglio mons. Pegoraro ha concesso un’altra intervista, stavolta al quotidiano Avvenire, nella quale non solo ritorna sulle precedenti sue argomentazioni, confermandone la gravità, ma anche ne aggiunge altre che le appesantiscono ulteriormente. Intanto viene confermata la contraddizione principale, che consiste nell’opporsi al suicidio assistito ma di accettarlo poi nei casi che il Parlamento volesse prevedere sulla linea di quelli già stabiliti dalla Consulta. Egli ribadisce che il suicidio assistito è «una sconfitta per tutti, lo è per il paziente che rinuncia al suo diritto a vivere, lo è per il medico, che viene meno ai suoi principi deontologici», però conferma anche che «non è in discussione la riconferma dell’istigazione e dell’aiuto al suicidio come reati», sicché si tratta di una sconfitta accettata e da gestire. Pegoraro continua a ritenere che la depenalizzazione circoscritta ad alcune situazioni non equivalga ad una approvazione legislativa di un diritto, anche se così non è.
Improprie sono anche le sue osservazioni sui comitati etici che dovrebbero, caso per caso, dare o meno il via alle pratiche di assistenza al suicidio. Cose già dette, anche queste, nella precedente intervista, ma qui ulteriormente approfondite e che confermano l’adesione al principio della depenalizzazione come riconoscimento di un diritto da soddisfare. Pegoraro propone di superare il livello degli attuali «comitati etici per la pratica clinica, che esprimono pareri non vincolanti e aiutano a comprendere e analizzare la singola situazione», come di recente accaduto nella regione Toscana, e propone «l’istituzione di commissioni medico-legali a livello regionale che valutino le condizioni richiamate dalla sentenza della Corte e le eventuali modalità di attuazione del suicidio assistito». Osserviamo: se queste commissioni svolgono un compito previsto da una legge ingiusta e inaccettabile, sono eticamente inaccettabili esse stesse. E se già fanno danni i comitati etici, come visto, oltre che in Toscana, anche in Veneto, le cose sono destinate ad aggravarsi di gran lunga se la palla passa in mano a commissioni medico-legali, che non emetteranno solo «pareri non vincolanti». Pegoraro non vuole un comitato di valutazione etica nazionale, li vuole regionali, ma il principio di sussidiarietà e di vicinanza al bisogno e al bisognoso non è applicabile nell’aiutare qualcuno a suicidarsi.
La novità principale contenuta in questa nuova intervista è però un’altra. Alla domanda se si debba mantenere la prassi del suicidio assistito prevista da una futura legge all’interno del sistema sanitario nazionale o se possa essere anche concessa a strutture sanitarie esterne ad esso, mons. Pegoraro nega risolutamente la seconda possibilità. La motivazione è sorprendente: perché queste strutture potrebbero essere «già orientate al suicidio assistito», e ad effettuarlo «al di fuori di ogni controllo», cioè oltre i famosi quattro limiti di legge. C’è allora un suicidio assistito buono e uno cattivo, se lo fa lo Stato è buono, se lo fa una clinica privata non lo è. Il rischio, per Pegoraro, è di «reintrodurre dalla finestra ciò che si è escluso dalla porta», ma con l’approvazione della legge che Pegoraro sostiene, il suicidio assistito verrà già fatto entrare, sicché è ridicolo dire di temere che esso rientri dalla finestra dopo averlo già fatto entrare dalla porta.
Questo ultimo aspetto viene toccato anche da una Dichiarazione congiunta di Ditelo sui Tetti e del Centro Studi Livatino che merita attenzione. Essa considera giusta la preoccupazione di Pegoraro che non si inneschino percorsi privati speculativi, ma non ritiene lecito che «per evitare un male si possa accedere a una ipotesi ancora peggiore». Propongono di tenere fede alla prima certezza valoriale: «se il Servizio Sanitario Nazionale venisse ribaltato nel suo scopo di curare in ogni condizione e piegato con competenze dirette per la morte di malati, ciò significherebbe dare a tutta la società un gravissimo messaggio pubblico di disvalore della vita fragile, cedendo alla “cultura dello scarto”». A supporto di ciò citano due studi scientifici [qui e qui] i quali «dimostrano come a ogni procedura sanitaria che possa direttamente disporre della vita debole, segua sempre una impennata di domande di suicidio assistito».
Due osservazioni: quanto la Dichiarazione congiunta chiama “prima certezza valoriale” riguarda le possibili conseguenze negative e non l’illiceità dell’azione in sé e può essere interpretata nel senso della morale consequenzialista. Non è, in altre parole, la prima certezza valoriale e, se assunta da sola per dire no ad una legge ingiusta, è debole. Inoltre, i due studi richiamati non parlano di procedure sanitarie ma di leggi. Queste due incertezze si riflettono sulla conclusione del Comunicato che contempla ancora alcune incertezze che possono diventare fessure: va mantenuta la struttura di illiceità anche penale dell’aiuto al suicidio, ma «con varie modalità giuridicamente possibili anche ai fini del rispetto della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, modalità che ci auguriamo con forza che il Parlamento possa considerare». E così ci risiamo.
Suicidio assistito, con Pegoraro alla PAV prosegue la linea Paglia
In un’intervista a Repubblica, il nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita condanna il suicidio assistito ma accetta alcuni criteri imposti dalla Corte costituzionale, non conformi alla morale naturale. E, nel solco del suo predecessore, parla di “dialogo” per arrivare a una mediazione: ma sull’indisponibilità della vita non si può scendere a compromessi.
Avvenire appoggia il Ddl sul suicidio assistito, travisando Wojtyła
Con un articolo di Domenico Menorello, il quotidiano della Cei appoggia il disegno di legge sul suicidio assistito in esame al Senato, citando a sproposito il n. 73 dell’Evangelium vitae sulle «proposte mirate a limitare i danni». Ma nell’enciclica di san Giovanni Paolo II è implicito che l’azione di limitazione dei danni deve essere essa stessa moralmente lecita: non è questo il caso.