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IL COMMENTO

Suicidio di Davide, anche Avvenire cade nel tranello

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Quello di Davide Macciocco è un altro suicidio usato come strumento di propaganda per una legge sul suicidio assistito. E anche Avvenire cade nel tranello, con l'ambiguità sulla coscienza che si interroga. 

Editoriali 18_09_2023

Un altro suicidio usato come strumento di propaganda per avere una legge sul suicidio assistito in Italia, così come chiesto dalla Consulta qualche anno fa. Questa volta si tratta Davide Macciocco, 40 anni, tetraplegico da 20 per un tragico tuffo in mare dopo una nottata in discoteca. Ha deciso di farla finita nella solita Zurigo, città ormai scelta da molti per farsi uccidere.

Davide, come altri, poteva morire anche in Italia: la  sentenza n. 242/19 della Corte Costituzionale glielo avrebbe permesso (qui un approfondimento). Ma in tal modo sarebbe sfumata l’opportunità per lui di chiedere una legge sull’aiuto al suicidio. Ed infatti cosa ha scritto nel suo ultimo post su Facebook? «Questa lettera è rivolta anche alle istituzioni italiane affinché non venga preso nessun provvedimento giudiziario nei confronti di chi mi ha semplicemente accompagnato, o meglio dato un passaggio. Se c'è qualcuno da giudicare, quelli sono i politici e il fatto che trovino difficile legiferare sulla morte volontaria assistita».

La scelta di Davide è una scelta ovviamente drammatica. Il giudizio sulla responsabilità di questa decisione, altrettanto ovviamente, lo lasciamo a Dio. Ma ciò non ci esime non solo dal giudizio sull’atto in sé di togliersi la vita – da condannare – ma anche dal giudizio su alcuni passaggi della sua ultima lettera.

Scrive Davide: «La vita è un diritto, non un obbligo». No, la vita è insieme un diritto e un dovere. Abbiamo anche il dovere di vivere. Però, come ogni dovere affermativo – ossia il dovere di fare qualcosa – non è assoluto, ossia non vale in tutte le circostanze. Ad esempio non esiste il dovere di ricorrere all’accanimento terapeutico per strappare qualche ora alla morte a costo di indicibili sofferenze o di spese eccessive. Questo non è scegliere di morire, non è voler morire come ha fatto Davide, bensì è accettare la finitezza umana, accettare di stare per morire, scegliere di rifiutare terapie sproporzionate accettando la conseguenza negativa di accorciare la vita di un poco. Nel rifiuto dell’accanimento terapeutico il paziente dice “No” a cure inutili o dannose, nella scelta eutanasica il paziente dice “Sì” alla morte.

«Ciò che conta è vivere con dignità», continua il post di Davide. Condividiamo appieno. Ed è proprio facendo riferimento alla dignità personale che non è lecito ricorrere al suicidio perché atto che contraddice l’intima preziosità umana, ossia la dignità personale. È un atto non consono, non proporzionato, non adatto alla nostra preziosità. È un atto che offende la dignità della persona.

Poi Davide aggiunge: «L'uomo è fatto per dominare la vita, non per esserne schiavo». Occorre distinguere. Da una parte non bisogna cadere nel delirio di onnipotenza desiderando di non soffrire mai, di non ammalarsi mai, di non morire mai. L’uomo è essere finito, non infinito, schiacciato dalle condizioni per molti motivi, tra cui l’ultimo, perché fondativo, è il peccato originale. Su altro fronte Davide ha ragione: noi dobbiamo dominare la nostra esistenza al di là delle condizioni avverse. L’uomo è chiamato ad essere libero. E come potrà mai esserlo, lui così fragile, limitato e piccolo di fronte all’universo? Vivendo una vita sola con Cristo che è la vera libertà. Innestati in Lui si vivrà d’amore e si può amare sempre, anche incarcerati in un corpo come quello di Davide. E chi ama è libero, al di là di qualsiasi condizione, anche tra le più tragiche.

Un ultimo rilievo lo riserviamo ad Avvenire che ha rilanciato il post di Davide da una parte criticandolo, ma in modo molto sfumato, e su altro versante inquadrandolo come provocazione che potrebbe orientare le coscienze verso un’accettazione del suicidio assistito. Infatti in prima battuta Avvenire scrive che la scelta di Davide è «una scelta tragica, che stride col suo profilo» di uomo pieno di voglia di vivere. Ma in un secondo tempo il quotidiano dei Vescovi afferma che la decisione del 40enne di Termoli «interroga le coscienze». Per poi aggiungere: le «parole [di Davide] interrogano con la loro sincerità e la profonda umanità che comunicano». Intendiamoci bene: banale a dirsi che la vicenda e la scelta ultima di Davide interrogano le coscienze, ma un quotidiano cattolico, stante la doverosa pietà per Davide, ha l’obbligo morale di indicare la risposta corretta da fornire a simili coscienze dubbiose: il suicidio è sempre un’azione intrinsecamente malvagia. Invece scritta così, l’uscita di Avvenire assomiglia proprio ad un’apertura al suicidio, assistito o meno che sia.

Il giudizio non cambia anche andando a leggere la preziosa intervista, pubblicata sempre su Avvenire, di Francesco Ognibene a Marco Maltoni, medico palliativista, sul caso Macciocco, intervista in cui ben emerge il fatto che la presa in cura di un disabile grave come Davide evita nella maggior parte dei casi scelte eutanasiche, perché le cure palliative, insieme all’affetto e alla vicinanza di parenti e amici, alleviano anche la sofferenza psicologica più opprimente. Il giudizio non cambia sia perché ogni articolo di giornale va letto di per se stesso (sta in piedi da solo, potremmo dire), sia perché – e il lettore ci scuserà il voluto ossimoro –  le frasi prima riportate sono inequivocabili nella loro ambiguità.