Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
AFRICA

Sud Sudan, in guerra ancor prima di nascere

Il 9 luglio sarà ufficialmente il giorno dell'indipendenza, ma gli accordi sospesi con il Nord hanno già innescato conflitti in diverse regioni.

Attualità 22_06_2011
mappa sudan
Nascerà sotto pessimi auspici, praticamente in stato di guerra, il 54° stato africano, la Repubblica del Sud Sudan, con capitale Juba. Mancano ormai pochi giorni al 9 luglio, il giorno tanto atteso dalle popolazioni meridionali del Sudan che, a partire da quella data, saranno del tutto indipendenti dal nord del paese. La loro secessione è stata decisa lo scorso gennaio da un referendum previsto dall’Accordo globale di pace con cui nel 2005 è terminata una delle più cruente guerre civili dell’Africa indipendente: quella che per decenni ha contrapposto il nord islamico e a prevalenza araba al sud cristiano, popolato da etnie nilotiche, nell’ambito di un processo di arabizzazione del paese voluto dal presidente Omar Hassan el Bashir e di cui fanno le spese dal 2003 anche le etnie islamiche, ma di origine africana, del Darfur.

Però tanto globale l’accordo del 2005 non era. Restavano infatti pendenti – e avrebbero dovuto essere definite entro il 2011 – questioni essenziali: innanzi tutto la divisione dei proventi del petrolio, ulteriore ragione del contendere durante gli ultimi anni di guerra poiché i giacimenti sfruttati si trovano quasi tutti al sud; e, in secondo luogo, la linea di confine tra i due stati in caso di secessione, fattore, quest’ultimo, di estrema rilevanza poiché alcune regioni centrali – Abyei, Sud Kordofan, Unity, Blue Nile – sono anch’esse ricche di giacimenti di petrolio ai quali né Khartoum né il nuovo stato vorrebbero rinunciare.

In concomitanza con il referendum di gennaio per decidere il futuro del Sud, anche la regione di Abyei avrebbe dovuto svolgere una consultazione popolare per decidere a quale dei due stati appartenere, ma il voto è stato rimandato sine die con dei pretesti: in realtà perché Khartoum temeva di perdere altre risorse preziose. Poi, a maggio, il governo del nord ha ordinato l’occupazione militare di Abyei, che gli accordi di pace prevedevano presidiata da una forza mista di militari del nord e del sud, ingiungendo al contingente del Sud di ritirarsi oltre confine, il che ha lasciato indifese le popolazioni dinka residenti nella regione. Ne sono seguiti scontri armati di cui come al solito ha fatto le spese la popolazione civile costretta a subire violenze e saccheggi e, per sottrarvisi, a fuggire. Circa 150.000 sfollati vivono in campi improvvisati e a mala pena assistiti.

La situazione è ancora più drammatica in Sud Kordofan, la terra dei Nuba, che negli anni del conflitto hanno solidarizzato con le etnie meridionali, combattendo al loro fianco e pagando per questo un pesante prezzo in vite umane. A maggio si è votato per eleggere il governatore dello stato e la vittoria è andata a Ahmed Haroun, il candidato del National Congress Party, il partito del presidente el Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur. Però le autorità di Juba hanno respinto l’esito elettorale denunciando brogli ed è stata la guerra. Qui l’esercito del Nord non solo combatte contro quello del Sud, l’Spla, ma infierisce sui civili che cattura e uccide per il solo fatto di essere di etnia Nuba o perché sospettati di sostenere l’Spla. Inoltre ha ripetutamente bombardato con l’aviazione, rendendolo inutilizzabile, lo scalo di Kauda da cui dipendeva la consegna degli aiuti umanitari a decine di migliaia di persone in fuga, sprovviste di tutto, accampate sotto gli alberi in attesa di soccorso.

Con la secessione del Sud Khartoum perde almeno due terzi dei proventi derivanti dalla vendita del petrolio. Ma Juba dipenderà per molti mesi e forse per anni dagli oleodotti che portano il greggio alle raffinerie del Nord e a Port Sudan, il terminale sul Mar Rosso anch’esso situato al Nord. Il ministro delle finanze sudanese ha dichiarato il 15 giugno che se il Sud non ritirerà le proprie truppe entro il 9 luglio, Khartoum ne impedirà l’uso. Un accordo raggiunto il 20 giugno ad Addis Abeba per la smilitarizzazione della regione di Abyei, ottenuto con la mediazione dell’Unione Africana, attende la conferma dei fatti per rassicurare sulle intenzioni dei contendenti.