Successione saudita, un erede giovane e anti-iraniano
Finita la gerontocrazia dei re sauditi figli del fondatore dinastico Abdulaziz, l'erede al trono dell'Arabia Saudita è il trentenne Mohammed bin Salman. Come sarà la sua Arabia? Già accenna aperture riformiste in tema di diritti delle donne e sa che non si può vivere di solo petrolio. Ma soprattutto vuole regolare i conti con l'Iran. Un programma ambizioso, ma quanto saggio?
Dopo il passaggio da vegliardo a vegliardo, per l'Arabia Saudita scocca l'ora del giovane (ambizioso) re. Non subito, perché sul trono per il momento resta ancora l'ottantunenne Salman, il venticinquesimo figlio di Abdullaziz, fondatore della dinastia degli al Saud nonché grande artefice dell'asse di ferro con gli americani in nome del petrolio. Ma da ieri a Riyad c'è comunque ufficialmente un nuovo principe ereditario, il trentunenne Mohammed bin Salman, figlio dell'attuale monarca e già potentissimo ministro della Difesa a Riyad.
Nelle monarchie normali che un re designi un figlio come proprio successore non è una gran notizia; ma le cose si complicano un po' quando la famiglia regnante è frutto di un capostipite che da ventidue mogli ha avuto la bellezza di quarantacinque figli (la maggior parte dei quali a loro volta hanno generato altrettanta prole, da un numero abbastanza simile di spose). Proprio immaginando che in una situazione del genere non sarebbe stato semplicissimo gestire le successioni dinastiche, Abdullaziz aveva puntato sulla successione da fratello a fratello, seguendo le tradizioni dei gruppi tribali. E infatti fino ad ora i suoi sei successori sono stati tutti suoi figli.
Ora invece in Arabia Saudita si cambia e in maniera radicale, con la scelta - appunto - del giovane Mohammed come successore designato. È evidente che si tratta di una svolta per gli al Saud. Ma va anche aggiunto che la mossa di re Salman sorprende per i tempi, più che per la sostanza: negli ultimi due anni era infatti apparso chiaro il ruolo sempre più importante affidato al figlio della sua terza moglie. E il tutto a scapito di Mohammed bin Nayef, il principe ereditario ufficiale, che pure lo stesso re Salman, appena salito al trono nel 2015 dopo la morte del fratello Abdallah, aveva scelto escludendo già allora dalla linea di successione Muqrin bin Abdullaziz, l'ultimo dei fratellastri (oggi settantunenne). Mohammed bin Nayef ricopriva anche la carica di ministro degli Interni ed è accreditato di operazioni importanti nella lotta contro al Qaeda (che considera gli al Saud dei traditori).
Ma l'astro nascente era comunque l'altro Mohammed, il figlio di Salman. L'uomo nuovo che strizza l'occhio ai giovani rampolli di Riyad, che parla dell'Arabia Saudita del 2030 quando il petrolio non potrà più essere l'unica fonte di ricchezza. Ma anche il principale responsabile della guerra nello Yemen e l'antagonista per eccellenza di Teheran. Nonché il dignitario di corte volato a Washington in marzo per preparare con Donald Trump il viaggio di qualche settimana fa a Riyad, quello della consacrazione del rinnovato asse tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita.
Naturale che prima o poi per l'altro Mohammed sarebbe arrivato il momento di togliere il disturbo. Così oggi che Salman e suo figlio con Trump alla Casa Bianca si sentono forti come non mai, hanno ritenuto non fosse più il caso di indugiare. Come sempre nella corte degli al Saud i giochi di potere si sono consumati lontano dai riflettori; e allora ieri le televisioni di Riyad hanno mostrato l'ex principe ereditario inchinarsi diligentemente nell'omaggio a chi è stato designato per prendere il suo posto. Con un sovrano ottantunenne che di fatto già oggi lascia governare suo figlio la strada al giovane re sembrerebbe dunque ormai spianata.
Ma il punto è: quale Arabia Saudita sarà quella di Mohammed bin Salman? Probabilmente un Paese dai due volti. Da una parte il giovane al Saud sa bene che la sopravvivenza politica del suo regno dipende dalla sua capacità di rinnovare il Paese. Con il petrolio sotto i cinquanta dollari al barile per la prima volta persino l'Arabia Saudita ha dovuto iniziare a fare i conti con le manovre finanziarie e l'esigenza di diversificare gli affari. Ma c'è anche la giovane generazione di rampolli degli sceicchi che ha studiato in Occidente e capisce che certe regole esteriori del wahhabismo oggi rappresentano un boomerang per il Paese. Su questo Mohammed potrebbe giocare sull'aura del riformista: ha già lasciato intendere, ad esempio, di essere disponibile ad alcune aperture sul tema delle donne.
Nello stesso tempo, però, il giovane futuro re ha grandi ambizioni geopolitiche. Vede nell'America di Trump e nell'Israele di Netanyahu gli alleati ideali per regolare i conti una volta per tutte con Teheran, il grande nemico sciita. E in questo può contare sull'appoggio dell'ennesimo Mohammed del gruppo: Mohammed bin Zayed, suo collega principe ereditario di Abu Dhabi e capo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti. L'escalation con il Qatar e i Fratelli Musulmani è principalmente opera loro e si muove in questa stessa direzione che mira a sgombrare il campo da ogni possibile antagonista nella regione. Con la cosiddetta Nato del Golfo come sogno di lungo periodo per garantire alla regione una pax saudita come approdo di stabilità dopo anni di guerre.
Solo che la linea tra la geopolitica e le ambizioni pericolose può essere molto sottile. E allora varrebbe la pena di ricordare che, nonostante i bombardamenti a tappeto, Mohammed bin Salman nello Yemen è impantanato da più di due anni. Che lo scontro con il Qatar è una partita ancora tutta da giocare. Per non parlare del disastro in Siria.
Da oggi è ufficialmente nella stanza dei bottoni il giovane aspirante re. Ma per restarci a lungo avrà bisogno di quei risultati che finora – nonostante la benedizione del vecchio Salman - a Riyad non ha ancora visto nessuno.