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L'EDITORIALE

Su Schengen ha ragione l'Europa

Le pretese italiane non trovano riscontro nella Convenzione di Schengen. I "permessi umanitari temporanei" sembrano la classica furbata per far "sparire" gli immigrati irregolari altrove.

Editoriali 15_04_2011

Si può dire tutto il male possibile dell’Unione Europea, e noi stessi non ci siamo certo tirati indietro, anche in questi giorni. Ma sulla vicenda dei permessi di soggiorno temporanei per gli immigrati dal Nordafrica e l’applicazione della Convenzione di Schengen, si deve riconoscere che le pretese dell’Italia non sono fondate. E che tutto questo stracciarsi le vesti, da parte di politici ed ecclesiastici, e inveire contro il resto d’Europa non rende un buon servizio al nostro paese e, soprattutto, alla verità.

E’ giusto richiamare il principio di solidarietà tra gli Stati europei, prima ancora che con le popolazioni di altri paesi, ma questo si deve tradurre – come abbiamo già detto nelle settimane scorse - in meccanismi istituzionali capaci di governare la vita dei paesi compresa la gestione di situazioni straordinarie qualora si presentassero. E’ a questo livello che vanno indirizzate le recriminazioni. Non si può invece pretendere che si agisca per improvvisazioni e spinte emotive, come pretenderebbe in questi giorni l’Italia.

Sicuramente il caos politico-umanitario di queste settimane ha origine proprio nella mancanza di una procedura europea in materia, che non è stata presa in considerazione neanche quando era scontato che nel giro di pochissimi mesi ci si sarebbe trovati in questa situazione.

Detto questo però, la reazione dell’Italia lascia perplessi. Visti vani gli sforzi iniziali per convincere i partner europei a concordare una politica comune in vista dell’arrivo massiccio di immigrati, non è che il nostro governo abbia messo tempestivamente a punto una strategia adeguata, né si è preoccupato di stabilire delle procedure d’urgenza per l’identificazione e il riconoscimento dello status dei nuovi arrivati. All’inizio ha dato addirittura il benvenuto alle prime centinaia di tunisini, pur essendo chiaro che non avevano alcun diritto di restare in Italia. Poi, di fronte alla marea montante di immigrati illegali e alla contemporanea politica delle “porte chiuse” degli altri paesi europei, ha escogitato l’idea dei “permessi umanitari temporanei”. In pratica si concede uno status di rifugiato valido sei mesi, un documento lecito e legalmente valido ma sulla cui utilità in questo caso c’è molto da discutere.

Anzitutto perché la priorità in questo caso è stabilire con rapidità chi abbia il diritto di restare in Italia – in quanto rifugiato o per ricongiungimento familiare – e chi debba invece essere rimpatriato. E’ su questo che bisognerebbe fare un grande sforzo, perché sei mesi sono un tempo inaccettabile e di conseguenza, come si è visto nei primi giorni nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), la gente scappa, anche senza documenti. Figurarsi ad avere in mano un permesso temporaneo, è ovvio che ci sarà la tendenza a “sparire”. Dunque è fatale che i “permessi umanitari temporanei” si trasformino in permanenza clandestina con le conseguenze “disumane” del caso.

Senonché è forte il sospetto che quella del “permesso umanitario temporaneo” non sia altro che una furbata all’italiana, una rappresaglia ben mascherata contro gli altri paesi della Ue che non vogliono accollarsi parte degli immigrati. In pratica, sapendo che la gran parte degli arrivati non vuole restare in Italia, ma punta alla Francia o ad altri paesi centroeuropei, il nostro governo ha concesso i permessi umanitari confidando che, grazie allo “spazio Schengen” che prevede la libera circolazione, gli immigrati “sparissero” in altri paesi.

La Convenzione di Schengen però non prevede questo automatismo: se un cittadino tunisino ottiene dall’Italia un permesso speciale, questo vale solo per l’Italia, e gli altri paesi Schengen lo possono accogliere se, oltre ai documenti in regola, dimostra di potersi mantenere. Altrimenti è previsto che venga rispedito al paese che ha concesso il permesso speciale. Perciò, a che titolo pretendiamo l’accoglienza da parte degli altri paesi? Perché continuiamo a sbandierare Schengen come se fossero gli altri paesi a violare la Convenzione e non noi a darne una interpretazione molto “forzata”, per non dire "creativa"? Se un discorso su Schengen va fatto dobbiamo casomai andare all’origine, a quando abbiamo firmato l’accordo nel 1990 e attuato nel 1997 senza negoziare clausole che tenessero conto della nostra particolare situazione geografica.

Piuttosto questa vicenda ci dovrebbe insegnare che i problemi si risolvono con politiche adeguate che tengano conto dei tanti fattori in gioco, e non con improvvisazioni e genialate. Si può anche riuscire a sgomberare Lampedusa in 48 ore con una spettacolare operazione, ma il risultato è di breve durata, non si dà certo una soluzione al problema degli arrivi di immigrati né sulla loro collocazione.