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IN MESSICO E SPAGNA

Strategia Lgbt: accuse al vescovo per zittire i preti

Sono già 4 le denunce ad altrettanti vescovi diocesani in Spagna e Messico, Paesi accomuncati in passato da una violenta persecuzione anticattolica, che sembra ritornare oggi sotto forma della dittatura Lgbt. Chiudere la bocca al vescovo per assicurarsi il silenzio del clero è il nuovo obiettivo. Garantito anche dalle leggi anti omofobia.

Editoriali 16_07_2016
Il vescovo di Toluca

Messico e Spagna sono accomunate da una storia tragica: il martirio di centinaia di sacerdoti vittime della violenza anticlericale che all’inizio del secolo scorso ha prodotto una delle più feroci carneficine di religiosi e chierici della storia. Allora furono l’odio massonico e marxista ad alimentare la mattanza, che oggi la Chiesa ha riconosciuto come martirio in odio alla fede per entrambi i casi.

Oggi Messico e Spagna sono tornate ad essere l’avamposto attraverso il quale un nuovo odio anticristiano vuole imporre la sua feroce dittatura nel mondo occidentale. Che quella omosessualista sia a tutti gli effetti un’ideologia ormai non è più una novità. Ma che stia diventando uno strumento di limitazione della libertà religiosa è un fatto recente che andrebbe scandagliato e fermato prima che sia troppo tardi. Oggi l’obiettivo delle lobby gay non è quello di uccidere i preti come fecero i rivoluzionari spagnoli e messicani, ma quello di tappare loro la bocca. Come? Utilizzando gli strumenti legislativi messi a disposizione dagli stati attraverso le leggi antidiscriminazione e a tutela delle lobby Lgbt.

In Italia lo si mette in guardia da tempo con l’approvazione della legge Scalfarotto sull’omofobia che è stata temporaneamente accantonata dal dibattitto sulle Unioni Civili, che ha dato vita alla legge Cirinnà-Renzi-Alfano. Ma ci sono paesi dove il corrispettivo della legge Scalfarotto è già in vigore. E produce i suoi frutti.

Criticare il matrimonio omosessuale, opporsi all’educazione di genere, ribadire il primato sociale e l’unicità antropologica della famiglia naturale e definire sbagliata l’adozione per le coppie omosessuali, sono tutti corpi del reato sanciti per legge. Chi li commette può andare incontro a grane giudiziarie. E l’offensiva che si sta scatenando in Messico e Spagna, paesi dove seppur in forme diverse esistono legislazioni e consigli per la diversità sessuale ne è la prova.

Ad essere presi di mira sono i vescovi diocesani. Quando vuoi chiudere la bocca a un uomo, chiudila prima al tuo diretto superiore e avrai ottenuto un effetto deterrente a cascata senza dover fare grosse campagne. Riducendo al silenzio un vescovo, in quanto successore degli apostoli, sarà poi più facile avere ai propri piedi i sacerdoti che a lui hanno promesso fedeltà.

Così la denuncia presentata nei giorni scorsi nei confronti di monsignor Francisco Javier Chavolla Ramos è destinata ad essere esemplare. Il prelato è vescovo di Toluca, sud ovest di Città del Messico, ed è stato denunciato per omofobia davanti al Consiglio Nazionale per prevenire la Discriminazione, un’organizzazione governativa che dovrebbe occuparsi di tutte le discriminazioni sociali, e in Messico ce ne sono di evidenti, ma che ora si occupa della causa Lgbt a piene mani.

A presentare l’esposto è il Consiglio per la diversità sessuale del Messico (Codisem), una delle più potenti ed organizzate lobby Lgbt del Paese centramericano, che gode di finanziamenti pubblici e vasta eco mediatca, oltre che di simpatie nei Comuni dove organizza corsi ed eventi di sensibilizzazione alla causa omosessualista.

Non è la prima volta. L’escalation di odio religioso era partita nel giugno 2015 con il tentativo, poi fallito, di processare il cardinale Juan Sandoval Íñiguez, Arcivescovo emerito di Guadalajara.

Ma che cosa ha fatto il vescovo? “Crea odio”, dicono dal Codisem. Il 25 maggio scorso nel corso di un programma radiofonico aveva messo semplicemente in guardia: “Stiamo vivendo tempi drammatici per la famiglia. In passato la famiglia era protetta dalle leggi, tutelata da buoni legislatori, ma ora stanno proponendo altre correnti e altre ideologie che vanno contro la famiglia generando una confusione tremenda”.

I rappresentanti del Codisem hanno convocato una conferenza stampa lo scorso 4 luglio per annunciare l’esposto contro Chavolla Ramos. Ma c’è di più: hanno anche scritto una lettera a Papa Francesco sollecitandolo a “fermare l’avanzata di discriminazione e omofobia” che hanno poi consegnato in nunziatura apostolica a Città del Messico.

Le associazioni pro family messicane hanno denunciato il tentativo di minacciare il clero riducendolo al silenzio e portandolo alla sbarra.

L’obiettivo è politico. Il 17 maggio scorso, appena una settimana prima che Chavolla Ramos parlasse, il presidente della Repubblica Enrique Peña Nieto ha annunciato l’intenzione di riformare la Costituzione per introdurre la legalizzazione costituzionale del matrimonio omosessuale in tutto il Paese accompagnata dalla modifica di un articolo del codice civile per l’introduzione dell’adozione di bambini per coppie omosessuali.

Ma sulla strada ha incontrato il vescovo di Toluca, rettore della Cattedrale dove il presidente si è sposato. Chavolla Ramos non è parso intimorito dalla minaccia. Tre giorni dopo, nel corso di un incontro ecclesiale, ha raccontato una storiella che è diventata virale nella rete. “Immaginate di prendere un gruppo di maschi e portateli in un’isola deserta con tutti i comfort sanitari e tecnologici. Lasciate passare 20 o 30 anni. In un’altra isola deserta mettete una coppia di un uomo e una donna. Che cosa troverete tra 30 anni? Nell’isola di soli uomini troverete alcuni scheletri e qualche vecchietto. Nell’isola dove posero l’uomo e la donna troverete un sacco di bambini diventati grandi”. E ha concluso: “Che cosa dice la natura? Dove sta la vita?”.

Paese che vai, vescovo che trovi. La Nuova BQ si è occupata dell’arcivescovo di Valencia, in Spagna, Antonio Cañizares, finito nel mirino di una lobby Lgbt per aver denunciato l’impero gay. La denuncia è stata archiviata, così come sono state archiviate le denunce presentate negli anni scorsi a danno di Juan Antonio Reig Pla, vescovo di Alcalà, finito anch’egli nel mirino delle associazioni omosessualiste.

Finora non ci sono state condanne, la libertà di espressione è sempre stata fatta valere dai giudici sulle cui scrivanie sono finiti i fascicoli, ma quello che sta accadendo e la forza con la quale le lobby gay procedono a denunciare non fa sperare in nulla di buono per il futuro. La tecnica radicale funziona anche in questi casi: a forza di insistere si trova il modo per piantare il chiodo: basta trovare giudici compiacenti.

Condannato il primo vescovo, sarà facile andare a stanare tutti gli altri. Sembrano fantasticherie estive, ma anche nella Spagna cattolica e pre rivoluzionaria di inizio secolo nessuno avrebbe mai immaginato la violenza che si sarebbe scatenata qualche anno dopo e che avrebbe lasciato sul campo decine di martiri cattolici.