Strapotere sindacale, il governo si prepara a ridurlo
O i sindacati trovano un accordo sulla riforma di rappresentanze e contrattazione, o il governo interverrà con una legge ad hoc. In cosa consiste? Soglie di sbarramento per le trattative, quorum minimi per indire gli scioperi e superamento dei vecchi contratti collettivi nazionali troppo ingessati.
Sindacati e Confindustria hanno una spada di Damocle sulla testa: se in tempi ragionevoli non troveranno un accordo su contrattazione e rappresentanza, il governo interverrà con una legge ad hoc. Dopo aver tentato di far ripartire il mercato del lavoro con il Jobs Act e i recenti decreti attuativi, l’esecutivo ora ha fretta di definire le nuove regole sui contratti, dando maggiore spazio alla contrattazione di secondo livello (quella aziendale), e intende mettere ordine nella giungla delle sigle sindacali, la cui proliferazione ha di fatto paralizzato i processi decisionali e contaminato le dinamiche aziendali. Bisognerà stabilire al più presto quali organizzazioni abbiano il diritto di sedersi al tavolo delle trattative, quali abbiano il diritto di firmare i contratti collettivi e come debba essere disciplinato il diritto di sciopero.
E’ assai probabile che Renzi interverrà in materia già in autunno, vista l’incapacità dei sindacati di autoriformarsi e di abbandonare antistoriche rendite di posizione tradottesi per anni in uno spropositato potere di ricatto nei confronti degli imprenditori e della politica. E’ impensabile che nel nostro Paese si possa stimolare la crescita, si possano attrarre capitali dall’estero o rilanciare la produzione industriale se persisteranno corporativismi, privilegi e visioni particolaristiche del mondo del lavoro.
Quanto seguito hanno effettivamente Cgil, Cisl e Uil nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro? E quanto ne hanno le altre sigle sindacali? Quest’accertamento sarà alla base della rivoluzione che il governo intende varare per assicurare un equilibrio tra le ragioni del capitale e le ragioni del lavoro.
Nell’attesa di capire se le parti coinvolte troveranno un accordo, circolano già alcune proposte allo studio del governo. Tra le differenti proposte di legge presentate alla Camera e al Senato in materia di rappresentanza sindacale da componenti della maggioranza di Governo (in particolare il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano e il senatore Pietro Ichino) è possibile individuare alcuni importanti punti di convergenza.
In primo luogo, potrebbe essere fissata una soglia minima del 5% per l’accesso dei sindacati alle trattative, il che selezionerebbe parecchio la composizione dei tavoli negoziali perché molte sigle quella soglia non la raggiungono. La soglia di sbarramento per poter invece firmare contratti nazionali di lavoro o contratti aziendali potrebbe essere fissata al 50% più uno dei lavoratori di un’azienda o dei delegati sindacali.
Ma come andrebbero calcolate le soglie? C’è chi suggerisce di tener conto dei risultati delle elezioni dei delegati sindacali, dal momento che è molto più difficile capire, attraverso l’Inps, se un singolo lavoratore sia iscritto a un sindacato piuttosto che a un altro.
Altro snodo cruciale riguarda il diritto allo sciopero, garantito dall’art.40 della Costituzione italiana, “nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Anche in questo ambito si parla di soglie minime di adesione alla protesta pari al 30-40% dei lavoratori. Una sorta di quorum necessario per decidere se lo sciopero debba essere considerato legittimo oppure no. Una disciplina di questo tipo impedirebbe gli scioperi selvaggi che spesso mandano in tilt intere città e che risultano proclamati da sigle sindacali ampiamente minoritarie. Certo è che risulterebbe assai impervia l’applicazione di una norma del genere ad aziende private che non abbiano un ruolo nei servizi pubblici.
C’è poi tutto il capitolo dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Ad oggi sono più di 400, un numero che andrebbe fortemente ridotto, mentre si potrebbe pensare di siglare contratti collettivi nazionali in alcuni settori che ne risultano sprovvisti, in particolare nel terziario avanzato (comparto informatico, ad esempio, considerato il dilagare delle tecnologie). In ambito governativo esistono due scuole di pensiero. C’è chi si dichiara per il superamento della contrattazione nazionale, che dovrebbe essere sostituita integralmente dal contratto aziendale, in omaggio ad una maggiore flessibilità (su salari, orari di lavoro, inquadramento, ecc.) e chi, invece, propone una contrattazione nazionale più elastica e derogabile, in alcuni casi, da contratti aziendali, anche per quanto riguarda la quantificazione degli stipendi. C’è chi paventa il rischio che il passaggio integrale ai contratti aziendali crei forti disparità tra aziende di serie A e aziende di serie B, con marcate differenziazioni territoriali tra Nord e Sud, tra aree più ricche e aree più depresse.
Ce n’è abbastanza per pronosticare un autunno caldo nel mondo del lavoro, senza escludere un nuovo braccio di ferro tra governo e sindacati. Ma la sfida è epocale. Ne va della competitività del “sistema Italia” e c’è da sperare che la parte più ideologica del Pd e dell’estrema sinistra, anziché fare ostruzionismo, lo comprenda.