Strage nel centro commerciale. In Danimarca
Un uomo armato di fucile e coltello entra in un centro commerciale e inizia a sparare a caso, contro chiunque incontri. È giovane, ha 22 anni, nessuna motivazione politica, solo voglia di uccidere. Ma non è accaduto negli Usa, bensì in Danimarca, a Copenaghen, dove vigno leggi molto restrittive sulle armi da fuoco. Poi a Chicago, altra strage.
Scene da terrore urbano americano: un uomo armato di fucile e coltello entra in un centro commerciale e inizia a sparare a caso, contro chiunque incontri. È giovane, ha 22 anni, nessuna motivazione politica, solo voglia di uccidere. Ma non è accaduto negli Stati Uniti, bensì in Danimarca, alla periferia di Copenaghen.
La sparatoria, secondo fonti di polizia è iniziata alle 17,35, domenica pomeriggio. Poco distante dal luogo della strage, la Copenaghen Royal Arena si stava riempiendo di gente, soprattutto adolescenti, pronti ad assistere al concerto di Harry Styles (poi annullato). Immediatamente dopo i primi spari, il panico si è scatenato nel centro commerciale. Molti clienti si sono precipitati fuori attraverso le uscite di sicurezza, altri si sono barricati delle toilette, il cinema si è svuotato di colpo. Dopo un quarto d’ora dall’allarme, la polizia è intervenuta in forze ed ha arrestato lo stragista, un 22enne di cui non è stata diffusa l’identità, se non che è “di etnia danese” e che non ha agito per terrorismo. Quindi è stata esclusa la pista del terrorista islamico.
Secondo un bilancio ancora provvisorio, sono stati uccisi un ragazzo e una ragazza danesi, entrambi di 17 anni, un uomo russo di 47. Altri quattro sono stati feriti gravemente: due cittadini danesi (una donna di 40 anni e una ragazza di 19) e due svedesi (un uomo di 50 anni e una ragazza di 16). La magistratura danese ha vietato la divulgazione dei nomi, sia dello stragista che delle sue vittime.
Per il capo della polizia Soeren Thomassen, lo stragista ha agito da solo, non è parte di una cellula. Esclusa la pista terroristica, perché un ragazzo di 22 anni ha sparato? Lo scenario, da quel che si può apprendere, è molto simile alle stragi che punteggiano la storia criminale negli Usa, quindi una persona con problemi mentali che decide di fare una strage, per motivi incomprensibili ai più. La polizia danese sta indagando su video che sarebbero circolati suoi social, dove si vedeva lo stragista con le sue armi. Forse si può trovare anche un “movente”, sempre che sia indagare nei deliri. Un testimone sopravvissuto che lo aveva incontrato prima della strage, lo ha descritto come un ragazzo “molto arrabbiato”.
Sconcerto della autorità danesi: Copenaghen è tuttora prima in classifica fra le città più sicure del mondo, precede anche Toronto e Singapore. Il sindaco Lars Weiss, all’indomani della strage, ha descritto il segreto di quel successo che ora è stato così offuscato: “Un fattore determinante nel rendere Copenaghen così sicura è il suo basso tasso di criminalità, attualmente ai minimi storici in un decennio. Noi ci concentriamo soprattutto nella prevenzione, con iniziative preventive. Molte di queste sono condotte attraverso la cooperazione locale fra scuole, club giovanili, servizi sociali e polizia”. I conservatori americani fanno notare (via social network) come la Danimarca abbia le leggi più restrittive sulle armi da fuoco. Eppure la strage c’è stata lo stesso.
I fact checkers, sempre pronti a saltare alla gola dei conservatori americani, hanno fatto notare come non vi sia paragone fra i tassi di mortalità da armi da fuoco danesi e quelli americani. Negli Usa vengono uccisi, con armi da fuoco, 10 persone ogni 100mila. In Danimarca le vittime sono 2 ogni 100mila. Negli Usa muoiono, in sparatorie, 5 volte tanto che in Danimarca. È una bella differenza, ma significa poco se parliamo di stragi in luoghi pubblici, come quella di Buffalo del mese scorso e quella di Copenaghen di questa domenica, così simili per circostanze e luogo colpito. La maggiore mortalità negli Usa è dovuta a lotte fra gang afro-americane e latino-americane. È un pericolo ingrandito dalla micro-criminalità nei ghetti, dal narcotraffico, dal traffico di immigrati. La mortalità delle sparatorie di massa è una goccia nel mare dei dati sulle vittime di armi da fuoco. È un fatto raro, eclatante, che fa notizia proprio perché immotivato, non spiega la differenza di mortalità fra Usa e Danimarca. Eppure è cavalcando politicamente le stragi che i liberal chiedono di imporre più controlli e più divieti.
Le leggi della Danimarca sono molto più restrittive di qualsiasi norma proposta dalla sinistra liberal negli Usa. Se quest’ultima si limita a chiedere un controllo di background (sulla sua salute mentale e fedina penale) di una persona prima di vederle un’arma, in Danimarca non solo c’è già il controllo di background, ma il potenziale cliente di un fucile o di una pistola deve dimostrare di avere seri motivi per acquistarla, deve ottenere un porto d’armi, può comprare un numero limitato di munizioni e solo per la sua arma, mentre nessuno può acquistare fucili automatici.
Affermare che le leggi restrittive sulle armi non eliminino comunque la possibilità di stragi in luogo pubblico, è corretto sotto ogni punto di vista. Il punto è che, nonostante leggi molto restrittive sulle armi, le stragi immotivate, di questo tipo, sono comunque possibili, anche se rare. E dunque non si deve guardare all’arma, ma alla persona che vuole uccidere.
Ieri, comunque, quasi a voler conservare il triste primato degli Usa nelle stragi di massa, a Chicago un uomo ha sparato sulla parata del 4 luglio, provocando almeno 6 morti e 31 feriti.