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NUOVA ZELANDA

Strage in moschea, l'ombra del "giustiziere"

Sono 49 i morti per l'attentato terroristico contro due moschee a Christchurch, in Nuova Zelanda, da parte di un giovane cittadino australiano. Condanna unanime nel mondo e tentativo di strumentalizzare da parte di quei paesi che puntano il dito contro l'islamofobia in Occidente. Ma tra i personaggi che hanno ispirato l'attentatore, scritti sui caricatori, nessuno si è soffermato sul richiamo ai fatti di Rotherham, la cittadina inglese dove per anni un gruppo di pakistan ha violentato centinaia di ragazze "bianche". Il che farebbe apparire quello di ieri anche come un perverso tentativo di giustizia fai da te. 
- TRATTARE TUTTI ALLO STESSO MODO di Souad Sbai

Attualità 16_03_2019

Le notizie sulla "strage suprematista" in Nuova Zelanda si sono susseguite senza sosta nella giornata di ieri: 49 morti, 41 dei quali uccisi nella moschea di al Noor ad Hagley Park, 7 in quella di Linwood (un'altra persona è morta in ospedale). Il fatto che i due attentati terroristici abbiano colpito due moschee a Christchurch ha fatto il giro del mondo e la condanna si è levata unanime, si direbbe quasi con sollievo, essendo l'attentatore un bianco. E proprio i dettagli riguardo all'appartenenza razziale dell'autore del gesto infame sono stati l'informazione più battuta dalle agenzie. Le ricostruzioni che volevano i protagonisti dell'agguato in almeno quattro persone, e facenti parte di un commando, sono state smentite dal video effettuato dall'attentatore stesso. Trasmesse in diretta su Facebook (con una telecamera indossata dall'uomo), le immagini suggeriscono l'azione solitaria durata 17 minuti, compreso il tragitto in auto.

Immagini agghiaccianti (non diffondiamo il video proprio per non esaltare il gesto): l'uomo entra nella moschea - non ci risulta possibile individuare quale delle due, il video ne mostra una sola - e spara. Da lontano, freddamente. La moschea non è pienissima, si riconoscono al massimo una ventina di persone e nessuno pare in preghiera. La prima reazione è di gettarsi a terra, lo fanno praticamente tutti, mentre l'uomo continua a sparare, sempre da lontano. Sembra di essere in un videogioco. Dopo le prime urla spaventate, di sottofondo non si sente più nulla. Uno strano e assordante silenzio privo di grida di dolore. Non va a controllare se le sue vittime sono morte, non si accanisce contro i corpi stesi ai suoi piedi mentre esce dalla moschea. Fuori colpisce, sempre da lontano, una donna che cammina sul marciapiede, poi continua a sparare nel vuoto. Ossessivamente.

L’uomo, come confermato anche dal primo ministro australiano Scott Morrison, è un cittadino australiano che vive in Nuova Zelanda, il 28enne Brenton Tarrant, che su Internet, prima dell'attacco, ha pubblicato un manifesto che spiega le sue motivazioni.  Per esempio irride la teoria che i videogiochi lo abbiano fatto diventare violento, precisa di non approvare il presidente americano Donald Trump per la sua politica e cita come ispirazione maggiore Anders Breivik, il nazista norvegese che uccise 77 persone nel 2011. Ma ne ha anche contro Angela Merkel e Sadiq Khan. 

Per quanto l'attenttao di Christchurch appaia l'opera di un cane sciolto, misure preventive sono state prese in diversi paesi: in Francia e Gran Bretagna, ad esempio, sono state rafforzate le procedure di sicurezza attorno alle moschee nazionali. 

Interessante notare che due sono gli aspetti più sottolineati dai media: la questione razziale e il fatto che siamo al cospetto di un uomo che è sano di mente, almeno secondo quello che certifica la stampa. Ma c'è, non sorprendentemente, chi cerca di cavalcare la tragedia per rilanciare l'allarme "islamofobia". Lo ha fatto Erdoğan che ha condannato "l'ostilità contro i musulmani che cresce come un cancro"; lo ha fatto Imran Khan, il premier pakistano, che ha dichiarato che l'attentato è stato fatto "in modo deliberato per demonizzare anche le legittime battaglie politiche dei musulmani". Senza in nessun modo sminuire la gravità di quanto accaduto in Nuova Zelanda, si deve però rilevare l'uso strumentale e pericoloso che certi leader islamici fanno dell'attentato, alimentando quel sentimento di accerchiamento che fa da brodo di coltura del terrorismo islamista.

Piuttosto sarebbe un bel passo avanti ritrovare tanta attenzione e tanta unanimità di condanne anche quando a essere colpite sono le chiese cristiane o quando i responsabili sono terroristi che uccidono in nome di Allah.

Nelle immagini choc del video vengono mostrati, inoltre, i caricatori delle armi con sopra alcune scritte, che costituiscono una raccolta di episodi e personaggi che in qualche modo hanno contribuito a "caricare" l'assassino. Su uno dei caricatori c'è una dedica anche a Luca Traini, il ragazzo che a Macerata ha aperto il fuoco contro gli immigrati in risposta al barbaro assassinio di Pamela Mastropietro. Ma non è l'unica. 

Tra le altre, spunta quella che recita "For Rotherham". Alla stampa la cosa non è sembrata interessante, e quindi è caduta nel vuoto. Eppure quella di Rotherham è una vicenda drammatica che ha colpito il cuore della Gran Bretagna, e che riguarda l'islam. Parliamo delle oltre 1400 ragazzine abusate da bande di pakistani in lungo e in largo nel paese e sulle quali per anni le autorità hanno deciso di tacere per l'incubo d'essere tacciati di razzismo. Tutta la storia è emersa sedici anni dopo grazie a un giornalista e un'assistente sociale. Da tre anni sono in corso i processi che vedono imputati i pakistani, i quali, raccontano le cronache delle udienze, non sono pentiti di quello che hanno fatto, in quanto si tratta "di ragazze bianche che meritavano di essere violentate". 

Questo riferimento non è da sottovalutare perché dà al gesto di Tarrant anche il sapore di una giustizia fai da te. È un modo barbaro e criminale di reagire a palesi ingiustizie, che però andrebbero affrontate anch'esse.