Storie e volti dei cristiani di Terra Santa
Un giornalista di stanza a Gerusalemme e un fotoreporter che ci torna volentieri raccontano in un libro le storie, i volti, la presenza dei cristiani in Terra Santa. E dedicano l'ultimo capitolo a tre opere che fanno fiorire la carità: l’istituto Effetà Paolo VI, la Hogar Niño Dios e il Caritas Baby Hospital di Betlemme.
In una terra dove cambiano continuamente confini, assetti politici e condizioni di vita cosa rimane indelebile? I volti e le storie delle persone. Così accade in Terra Santa, un luogo speciale e conteso. Lo hanno capito Andrea Avveduto, giornalista, e Giovanni Zennaro, fotografo, autori del libro Aggrappati alle radici. Storie e volti dei cristiani in Terra Santa, Marietti 1820.
Come hanno raccontato in un incontro a Milano, il 5 dicembre alla Parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola, il libro è nato quando hanno riconosciuto il filo conduttore delle storie che Andrea raccontava e Giovanni fotografava. «Abbiamo fatto un libro di storie essenzialmente per tre motivi. Innanzitutto il Medio Oriente cambia con rapidità e quello che si scrive oggi può essere smentito domani, mentre le storie rimangono. Poi più si sta in Medio Oriente più si scoprono dinamiche complesse e inoltre attraverso l’esperienza delle persone ogni problema viene esplicato» ha spiegato Avveduto.
In particolare raccontano la presenza cristiana, che rappresenta una minoranza nella terra dove è nato Gesù. I cattolici infatti sono poco meno di 200mila, circa il 2% di tutta la popolazione. “In Palestina, in Giordania e in tutti i paesi arabi, i cristiani sono chiamati a vivere in una società ebraica, cristiana e musulmana. Una realtà in cui bisogna lottare per non perdere terreno” scrive Avveduto nel libro.
Lotta, ma anche accoglienza. Questa è la scoperta del fotografo Giovanni Zennaro, che si è trovato a bussare alle porte dei cristiani che vivono a Gersulemme, a seguire i muratori palestinesi durante la routine quotidiana: si presentano alle 5 del mattino ai chekpoint del muro, quei 725 chilometri di pietra che dividono Israele dalla Palestina, attendono ore per superare i controlli, si recano sul luogo di lavoro e la sera ripetono la coda e l’attesa al chekpoint. «Non ho avuto nessuna difficoltà ad approcciare le persone – racconta Zennaro – e ho scoperto la cultura dell’ospitalità e dell’accoglienza che è propria degli arabi. Nessuno mi ha mai detto di no e mi hanno offerto tutto quello che avevano. Lo scorso Natale avevo 23 inviti per il pranzo a casa di famiglie cristiane in Terra Santa».
Dal libro e dall’esperienza degli autori emerge poi il valore del perdono. Racconta Andrea Avveduto: «Da quando sono in Terra Santa la cosa più importante che ho imparato è il valore del perdono, che è ciò che manca di più in quella terra ed è il punto a cui guardare per ripartire». Gerusalemme è l’unico posto in cui 13 diverse confessioni cristiane sono costrette a vivere insieme e i luoghi di culto vengono contesi e regolamentati attraverso lo Status Quo del 1852. «Quello che accade al Santo Sepolcro è incredibile e paradossale – continua Avveduto – per fare solo alcuni esempi: appena fuori c’è una scala appoggiata che nessuno sposta da 100 anni perché non ci si riesce a mettere d’accordo oppure per realizzare i bagni ci sono voluti 25 anni. Il Santo Sepolcro è in ogni caso un luogo di ecumenismo e i religiosi delle diverse confessioni stanno nei luoghi di Cristo con una grande passione».
Complessa è anche la situazione di Gaza, un recinto di 350 km quadrati, dove convivono 1 milione e 700 musulmani, 2000 cristiani di tutte le confessioni di cui 250 cattolici. «La condizione dei cristiani a Gaza è molto difficile. Il parroco di Gaza organizzava dei turni di preghiera in parrocchia e, nei momenti pericolo, alcuni cristiani, che non uscivano per prendersi da mangiare, uscivano per andare a pregare. Una famiglia tornando a casa dopo il momento di preghiera si è trovata la casa rasa al suolo da un raid. Sono tornati indietro dal parroco dicendo: “sia lodato il nome del Signore perché è buono”. I cristiani di Gaza ci hanno fatto vedere cosa significa essere felici» racconta il giornalista novarese, che da due anni vive a Gerusalemme.
“La carità non avrà mai fine” diceva San Paolo e le opere di carità raccontate nel libro esprimono appieno questo precetto paolino. Gli autori hanno dedicato l’ultimo capitolo del libro alla carità e la raccontano attraverso tre opere di religiose: l’istituto Effetà Paolo VI gestito dalle suore dorotee, la Hogar Niño Dios a Betlemme e il Caritas Baby Hospital, sempre a Betlemme. In questi tre luoghi ci sono religiose che si dedicano ai bambini, sia cristiani che musulmani, abbondati, ammalati e spesso disabili. In queste terre la vita per le suore non è certo facile, ma una di loro, interpellata sulle difficoltà che doveva affrontare ha risposto: “La verità è che io ho tutto quello che mi serve nella Presenza di Gesù in quello che faccio”.
Su tutti i cristiani in Terra Santa vegliano come angeli i francescani, presenti da 800 anni. Nel libro si legge: “Oggi l’opera della Custodia è divisa tra Israele, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Egitto e le isole di Rodi e Cipro. Sono circa trecento i religiosi che lavorano ogni giorno per mantenere viva la memoria nei luoghi di Cristo”.
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