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DIRITTO ALLA VITA

Storia di Angela, non vuole abortire per salvarsi

Angela, affetta da tumore al cervello, doveva scegliere fra la sua vita e quella di sua figlia che porta in grembo. Ha scelto di salvare entrambe. Ma a Bari, dove Angela era ricoverata e avrebbero l'attrezzatura giusta, manca l'autorizzazione a operare.

Vita e bioetica 24_10_2013
Angela

Lo chiamano Cyberknife. E’ un’apparecchiatura costituita da un sistema di guida ad immagini, che localizza il tumore - soprattutto al cervello e alla spina dorsale (ma il suo uso si sta diffondendo anche nei confronti dei casi di neoplasie maligne dei polmoni e della prostata) – e attraverso un braccio robotico, dotato di un acceleratore lineare miniaturizzato, colpisce il bersaglio con radiazioni X da 1200 posizioni diverse intorno al paziente. Il sistema, che è definito indolore e non richiede ospedalizzazione, è attivo dal gennaio del 2003 all’Ospedale di Vicenza - reparto di Neurochirurgia 2° ad indirizzo di Radiochirurgia Stereotassica - che è stato il primo in Europa a usarlo. Da allora, sono stati trattati oltre 2mila pazienti.

Lontano da Vicenza, a Bari, l’uso del robot Cyberknife non è autorizzato. È in dotazione della clinica convenzionata “Mater Dei” (l’ex Istituto Oncologico), dove giace da due anni, in attesa che la Regione Puglia conceda il permesso.

Il caso scoppia con fragore nelle ultime settimane. Una donna di Casal Velino, in provincia di Salerno - si chiama Angela, ha 26 anni - ad agosto ha un’emorragia cerebrale. Si salva e le viene diagnosticato un tumore al cervello. Pare le dicano che per intervenire chirurgicamente, lei deve abortire. Sì, perché Angela, che si era sposata tre mesi prima, è incinta. Lei non ne ha alcuna intenzione: «Preferisco morire - dice ai giornali - ma Francesca Pia deve nascere. A una madre non si può chiedere di salvarsi uccidendo una bimba». In quei giorni, così dolorosi per lei - racconta di aver scritto anche una email a Papa Francesco, «per fargli sapere che ho bisogno di aiuto», dice - scopre la sua tenacia, il suo coraggio e la sua determinazione e, insieme ai suoi familiari si mette alla ricerca su Internet di una città raggiungibile in macchina (il viaggio in aereo sarebbe stato a rischio di una seconda emorragia), che abbia l’apparecchiatura che la può salvare, senza sacrificare la bambina, insieme all’indispensabile reparto di ostetricia e ginecologia. Le condizioni sono entrambe soddisfatte a Bari, alla clinica “Mater Dei”, che la accoglie, pur consapevoli - i responsabili della clinica - che il Cyberknife negli ultimi due anni è stato usato solo per “qualche intervento compassionevole”, come hanno dichiarato.

A questo punto, inizia il calvario di Angela. Alla Giunta regionale di Vendola, viene chiesta un’autorizzazione definita “in via eccezionale” dai responsabili del “Cbh (Città di Bari Hospital)”, proprietario del Cyberknife. L’Assessorato alla Sanità chiede una “relazione tecnica che definisce le procedure mediche da adottare e il relativo percorso assistenziale” e il “consenso informato da parte della donna”, per concedere un’autorizzazione - aggiunge - che «riguarda un apparecchio che emette radiazioni potenzialmente pericolose per la paziente e per il feto e che non è stato ancora collaudato e autorizzato». Viene anche nominata - come sempre più spesso avviene in Italia – una commissione di esperti chiamata ad indagare. Chissà se quegli esperti e i dirigenti dell’Assessorato si sono documentati su Internet sui dieci anni di esperienza dell’Ospedale di Vicenza sull’uso della macchina robotica.

Sta di fatto, che subito dopo i dirigenti dell’Assessorato, per dare l’autorizzazione, impongono altre due condizioni: chiedono che vi sia la "sottoscrizione autenticata" del consenso informato che Angela aveva già firmato e una seconda "relazione tecnica" che dimostrasse che il Cyberknife sia "in possesso dei requisiti strutturali e tecnologici generali" come la protezione antincendio o antisismica, insieme con "la documentazione relativa all'avvenuto collaudo dell'apparecchiatura". La commissione di esperti si riunirà oggi per valutare la documentazione.

Angela, nel frattempo, ha firmato le dimissioni volontarie e ha deciso di tornare a casa. I giornali l’hanno definita “stupefatta” piuttosto che “arrabbiata”. Non ha, ora, molta voglia di parlare. Deve pensare ad altro. Lei ha una vita nel suo grembo, che vuole far nascere, a tutti i costi e vuole che quella vita abbia anche una madre. Siamo fiduciosi che il Ministero della Salute vorrà disporre un’inchiesta su quanto avvenuto e siamo certi che Angela troverà un ospedale pronto ad accoglierla e ad eseguire l’intervento che salvi lei e sua figlia. Non ci sarà, altrove, burocrazia e politica che tengano.