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La lettera del papa

Storia della Chiesa, un rinnovamento in odio all’apologetica

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Pubblicata il 21 novembre la lettera di papa Francesco sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa. Accezione negativa, ribadita dai relatori in conferenza stampa, per l’apologetica. E no a una storia “angelicata”.

Ecclesia 23_11_2024 English

«Studiare e raccontare la storia aiuta a mantenere accesa la fiamma della coscienza collettiva»: nella Lettera del Santo Padre Francesco sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, il papa sollecita una riflessione che porti a una motivata consapevolezza della propria identità con l’intento di promuovere, soprattutto «nei giovani studenti di teologia, una reale sensibilità storica».

A presentare il documento pontificio sono intervenuti il 21 novembre dalla Sala Stampa Vaticana il cardinale Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il Clero; monsignor Andrés Gabriel Ferrada Moreira, segretario del medesimo Dicastero; il professor Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, già professore ordinario di Storia Contemporanea e, in collegamento da remoto, la professoressa Emanuela Prinzivalli, già professore ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese.

La Lettera del papa, destinata alla formazione dei nuovi presbiteri e di altri agenti pastorali, propone un’ampia riflessione sulla necessità di dare nuovo impulso agli studi e di acquisire un’autentica dimensione storica nella comprensione della storia della Chiesa, accettando anche i suoi momenti più difficili e oscuri, ma soprattutto cogliendo la sua crescita nel tempo.

I diversi interventi hanno toccato tematiche peraltro ben note a chi si occupa di storia della Chiesa e dell’ampio, talvolta ricco di contrasti e di opposte posizioni, dibattito epistemologico e disciplinare a questa relativo. Nel corso della conferenza si è ribadita la necessità di prendere le distanze da una storia apologetica (in linea con quanto affermato nella Lettera, si attribuisce al termine un significato negativo, legato a una incondizionata e preconcetta interpretazione che trasforma la storia della Chiesa in un mero supporto alla storia della teologia o della spiritualità) e si è riproposta l’importanza di non affidarsi a una storia "angelicata", lontana dal reale e talora prosaico svolgersi delle vicende ecclesiali. Si è inoltre criticato il ruolo ancillare che nei tradizionali ambiti di insegnamento la disciplina continuerebbe a svolgere rispetto alla teologia.

Suggestivo il richiamo a un Dio che entra "in punta di piedi" nella storia, che in un progetto di salvezza chiama a Sé gli uomini. Di questo Dio si è molto evidenziata la capacità di condivisione della dimensione umana, lasciando un po’ in sordina il fatto che questa straordinaria iniziativa è voluta da un Assoluto che incontra la finitezza della storia umana, proponendosi come unica via di salvezza. I relatori hanno quindi rimarcato l’irriducibile dimensione storica del cristianesimo, in parte condivisa con la religione ebraica al contrario di quanto accade nelle religioni orientali o nel credo musulmano, riconoscendo la progressiva attenzione che la Chiesa dello scorso secolo ha indirizzato a questa dimensione, presente anche nella formula di fede del cristiano.

Dell’insegnamento della storia si sono poi segnalate le grandi potenzialità formative: la capacità di educare a percepire la profondità del passato e quindi di strappare dalla dimensione di un piatto, eterno presente in cui rischiamo – complice l’uso esasperato dei media – di vivere come figli del vuoto; la capacità di cogliere e accettare il diverso, per non arroccarsi in difesa dentro una cittadella fortificata di certezze ma piuttosto impegnandosi nell’incontro con il mondo e la sua complessità.

È stato fortemente ribadito, in linea con molte tendenze storiografiche affermatesi nella ricerca contemporanea, un tema assai caro al pontefice, evidenziando la necessità che gli studi storici diano voce anche ai perdenti, a coloro che nulla o poco hanno contato nello svolgersi delle vicende del mondo, ai poveri nel senso ampio del termine, di cui nessuno si sarebbe occupato e che avrebbero finito per scomparire dalla coscienza comune. A questo proposito risulta fondamentale il richiamo di Andrea Riccardi alla preziosa opera di recupero dei nomi e della memoria dei martiri cristiani del Novecento, voluta da papa Giovanni Paolo II; tale recupero ha fortemente inciso e cambiato l’autocoscienza della Chiesa contemporanea, perché solo una conoscenza il più possibile integrale del proprio passato consente di proiettarsi nella costruzione del futuro.

Al contrario, la perdita della dimensione storica, l’essere figli del vuoto, di un tempo privo di passato, comporta l’atrofia di quella speranza escatologica, a cui anche l’imminente Giubileo chiede di guardare.

Nel corso della conferenza piuttosto problematico è apparso il tentativo di ricondurre nell’ambito di queste riflessioni anche la lettera che il papa nello scorso agosto ha dedicato all’importanza dello studio della letteratura. Nel tentativo di recuperare questo secondo testo, sono stati proposti generici parallelismi e intersezioni forzate, che non hanno tenuto conto del diverso statuto epistemologico delle due discipline.

Altrettanto fragili le troppo sintetiche affermazioni sulla salvezza che non si raggiungerebbe a livello di singolo, ma come popolo di Dio, e sulla necessità di saper imparare da chiunque, senza ulteriori, pur indispensabili, specificazioni. Una più ponderata articolazione e qualche maggiore precisazione in merito avrebbero consentito una miglior comprensione del pensiero degli oratori.

Pochi ma puntuali gli interventi dei giornalisti. In particolare, a una domanda sulla posizione dei movimenti tradizionalisti, che sembrerebbero non essere in sintonia con quanto la Lettera pontificia propone, è seguita la recisa risposta di un relatore, volta a negare che quel mondo, pur presente nella Chiesa contemporanea, abbia una chiara percezione del senso della storia. Spiace che tale giudizio, formulato in modo generico, privo dei necessari fondamenti, scaturito da una reazione, sia stato pronunciato proprio da uno storico, il quale solo poco prima aveva indicato come preliminare a ogni valutazione l’autentica ricerca storica e aveva tessuto le lodi di un metodo di indagine corretto e onesto, capace di indagare la complessità del fenomeno che intende esplorare.

C’è da augurarsi che la rivoluzione del futuro insegnamento della storia della Chiesa, fortemente auspicata dai relatori, tenga conto dei migliori passaggi della Lettera di Francesco, facendo giustizia delle battute d’arresto palesemente emerse nel corso della sua presentazione.