Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giuseppe Lavoratore a cura di Ermes Dovico
LE RICADUTE DELLO STOP DI TRUMP

Stop aborti coi soldi Usa L'Africa piange

Con la reintroduzione del disimpegno Usa dal finanziare le lobby dell'aborto, verranno meno i giganteschi fondi di pianificazione per l'Africa. E le Ong piangono miseria, accusando Trump di mettere a rischio l'aborto sicuro delle donne. Ma nessuno le ha mai interpellate. Per non morire serve non tanto abortire in sicurezza, ma essere assistite da personale competente durante la gravidanza e il parto, abolire le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni infantili che rendono la maternità un rischio.

Esteri 31_01_2017

La Mexico City Policy, introdotta nel 1984 dal presidente Reagan, stabilisce che il governo degli Stati Uniti non finanzi le organizzazioni non governative che praticano aborti, promuovono la depenalizzazione dell’aborto e collaborano con strutture che eseguono aborti. Dal 1984 è stata in vigore per 17 anni, adottata dai presidenti repubblicani, sospesa da quelli democratici. Con uno dei suoi primi atti esecutivi il presidente Donald Trump l’ha reintrodotta. Dal 23 gennaio le ong che forniscono servizi di pianificazione famigliare e in generale sanitari devono impegnarsi a non praticare aborti e a non promuovere l’interruzione di gravidanza come metodo di pianificazione famigliare, se vogliono ottenere fondi governativi. 

In Africa la notizia è stata accolta con grande disappunto da molte ong. La prima condanna è arrivata dal Kenya. Evelyne Opondo, direttore per l’Africa del Centro per i diritti riproduttivi, il 24 gennaio ha dichiarato che la sospensione dei fondi alle associazioni pro-aborto avrà effetti disastrosi nel continente perché molti ministeri della sanità africani dipendono in misura determinante dagli aiuti: “E' una decisione del tutto inappropriata, tanto più che l’aborto negli Stati Uniti è legale. Sembra che si vogliano punire i paesi poveri e che, proprio per questo, hanno bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti”. Il Centro per i diritti riproduttivi prevede gravi conseguenze sulla vita di moltissime donne, costrette a portare a termine gravidanze indesiderate oppure ad abortire senza la necessaria assistenza. 

In Kenya almeno una dozzina di cliniche sono associate all’International Planned Parenthood Federation, Ippf, la potente organizzazione abortista, e potrebbero vedersi sospendere i finanziamenti Usa. Nel 2001, quando il presidente George W. Bush ha riconfermato la Mexico City Policy, cinque cliniche sono state costrette a chiudere per mancanza di fondi. La Ippf, che opera in 30 stati africani, calcola che mancheranno 100 milioni di dollari per programmi di salute sessuale e riproduttiva e che milioni di ragazze e donne perderanno quindi questi servizi.

USAid, l’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, ha fornito un sostegno enorme alla pianificazione famigliare – spiega il portavoce dell’ufficio per l’Africa della Ippf – con un bilancio annuale di oltre 600 milioni di dollari. Con il ripristino della Mexico City Policy, anni di progressi nell’accesso a servizi essenziali andranno perduti”. Per fortuna – dice un comunicato Ippf diffuso il 28 gennaio – c’è la possibilità di rimediare con fondi forniti da altri stati: “Non possiamo e non vogliamo negare servizi vitali alle donne più povere del mondo”.    

L’ong abortista britannica Marie Stopes International condivide l’allarme della Ippf. Molti centri di pianificazione famigliare dovranno chiudere o ridimensionare le attività. Di conseguenza aumenteranno aborti e mortalità materna – prevede la sezione nigeriana della ong – perché se le donne non possono accedere alla contraccezione aumentano le gravidanze indesiderate e quindi gli aborti clandestini: “Senza i fondi Usa, da adesso al 2020 si avranno più di 1,8 milioni di gravidanze non pianificate, più di 660.000 aborti, oltre 10.000 decessi per gravidanza e parto non potranno essere evitati”. 

Le previsioni di Medici senza frontiere sono ancora più drammatiche. Poiché il provvedimento vale per tutte le ong che in qualche modo favoriscono e facilitano la scelta di abortire, si applicherà anche a delle ong che combattono la malaria e le malattie dell’infanzia: “E' una minaccia per i progressi realizzati su più fronti, inclusi gli sforzi per ridurre la mortalità da Hiv e da altre malattie infettive e per ridurre la mortalità infantile grazie alla prevenzione della malaria, ai programmi sanitari e alle campagne di vaccinazione”. 

I sostenitori della decisione del presidente Trump replicano che in questo modo si protegge il fondamentale diritto alla vita. Si può aggiungere che per continuare a ricevere contributi governativi Usa è sufficiente smettere di collaborare con ong pro-aborto. Inoltre, tolti al finanziamento dell’aborto e, come fa notare il ginecologo kenyano John Nyamu, ai programmi di aborto imposto e sterilizzazione involontaria, milioni di dollari diventano disponibili per altri interventi vitali ed essenziali. 

Le donne africane accolgono i figli come un dono. Temono piuttosto la sterilità che è frequente e i rischi della gravidanza, a ragione visto che il continente ha i tassi di mortalità materna di gran lunga più elevati. Sarebbe il caso, per una volta, di sentire che cosa ne pensano loro, che cosa secondo loro è prioritario. Per non morire, forse direbbero, serve non tanto abortire in sicurezza, ma piuttosto essere assistite da personale competente durante la gravidanza e il parto, serve abolire le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni infantili che rendono la maternità un rischio. Perché la maternità sia una scelta, forse direbbero, servono non tanto i contraccettivi, che oltre tutto spesso bisogna usare di nascosto dai mariti, ma prima di tutto che gli uomini rispettino le donne e che tutti considerino il matrimonio un’unione d’amore, volontaria, non un contratto in cui si negozia il prezzo da pagare per una moglie e la sua prole.