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LA FASE 2 ARRANCA

Stato e Regioni allo scontro finale mentre il Paese affonda

Conflitti istituzionali, polemiche politiche, particolarismi e incertezze costellano l’inizio della Fase 2, mentre gli aiuti promessi tardano ad arrivare e la confusione comunicativa regna sovrana.

Politica 10_05_2020

Conflitti istituzionali, polemiche politiche, particolarismi e incertezze costellano l’inizio della Fase 2, mentre gli aiuti promessi tardano ad arrivare e la confusione comunicativa regna sovrana.

Tra le poche certezze di questo periodo riscontriamo quelle riguardanti il braccio di ferro tra Stato e Regioni e l’assenza di aiuti concreti a cassintegrati, imprese e categorie produttive sempre più in ginocchio. La burocrazia è un ostacolo che si poteva immaginare. Tra l’emanazione di un decreto e la sua effettiva attuazione passano settimane preziose per la trafila di verifiche, autorizzazioni, passaggi formali. Ma se a questi rallentamenti prevedibili si aggiungono i bizantinismi tra governanti e le incertezze comunicative la miscela diventa esplosiva.

Sui 37 miliardi del Mes, concessi dall’Unione europea a un tasso irrisorio e con obbligo di restituzione in 30 anni, si pronuncerà il Parlamento. Ma a salvare il Paese dalla recessione non potrebbe comunque bastare il solo Fondo Salva Stati, che ha peraltro un vincolo di destinazione d’uso per esigenze sanitarie.

Occorrerà usare quel bazooka più volte preannunciato dal premier ma ancora inesistente. Chi non ricorda la poderosa manovra finanziaria di 400 miliardi di liquidità per le imprese annunciata dal premier ormai un mese fa? Finora gli unici a poter dormire sonni tranquilli sono i dipendenti pubblici, con lo stipendio garantito, mentre per tutti gli altri non vi sono certezze e la prospettiva è quella di una lunga traversata nel deserto, un deserto di povertà e, nella migliore delle ipotesi, di contrazione consistente dei guadagni.

Ieri si è vissuta l’ennesima pagina della telenovela Stato-regioni, con il Tar della Calabria che ha bocciato l’ordinanza con la quale, il 30 aprile, la governatrice Jole Santelli, aveva autorizzato bar e ristoranti a riaprire con il servizio ai tavoli all’esterno. E’ stato dunque accolto il ricorso presentato dal Governo, che aveva impugnato quell’ordinanza. L’iter “lacunoso e carente” e l’emanazione “senza alcuna previa interlocuzione formale con il governo” sono le argomentazioni che il giudice amministrativo ha addotto per smontare la decisione della Santelli, aggiungendo che «spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus Covid-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art.3, comma 1, d.l. n.19 del 2020», che vieta agli amministratori di emettere provvedimenti in deroga alle misure di sicurezza emanate dal Governo. Non è escluso che la Regione Calabria presenti ora un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

Dunque, all’esasperazione dei ristoratori milanesi che provano a manifestare in piazza e vengono multati per aver causato assembramenti, si aggiunge quella di baristi e ristoratori calabresi, costretti a richiudere le loro attività almeno fino al 18 maggio, data che, contagi permettendo, potrebbe coincidere con quella della riapertura generalizzata su base nazionale.

Nel frattempo, però, ad alimentare la Babele di iniziative sulle misure di contenimento e sulle riaperture sono arrivate le decisioni delle regioni a statuto speciale come il Friuli Venezia Giulia, che riapre il commercio al dettaglio, e il Trentino Alto Adige che, oltre ai negozi, apre da domani anche bar e ristoranti. Si registrano, quindi, strappi un po’ ovunque, legati alle pressioni delle categorie che, nelle varie regioni, stanno alzando la voce sull’onda di una disperazione senza precedenti.

Visto che lo stesso Governo ha preso atto della disomogeneità dei livelli di contagio nelle diverse aree del Paese e non ha escluso aperture differenziate, non si comprende perché non si lascia alle Regioni la libertà (e la responsabilità) di stabilire, in base alle esigenze dei territori, le regole da rispettare in ordine alla ripresa delle attività produttive e commerciali, fermo restando il rispetto delle misure di contenimento e distanziamento varate su base nazionale. Le esigenze di un territorio a vocazione turistica, con l’estate ormai alle porte, sono certamente diverse da quelle dei territori che vivono di altre attività.

Tutto ciò rimanda alla scommessa mancata, quella dell’autonomia, lanciata anni fa da Lombardia e Veneto, e coltivata con interesse da altre come l’Emilia Romagna. Se il disegno autonomista non si fosse arenato sugli scogli dello statalismo, oggi avremmo una gestione più flessibile delle ripartenze e i governi regionali, eletti democraticamente e con leggi elettorali molto più affidabili di quella nazionale, risponderebbero fino in fondo agli elettori del loro operato. Il paradosso, invece, è che oggi possono far valere un alibi di ferro: l’emergenza Covid-19, anche nei suoi aspetti di dettaglio, è gestita a livello centrale, con meccanismi di scaricabarile che impediscono di individuare i veri responsabili di ritardi e disservizi. Al danno, dunque, per gli italiani si aggiunge la beffa.