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100 SECONDI ALL'APOCALISSE

Stato di paura, giustificazione di un nuovo regime

Il Doomsday Clock, l’orologio (immaginario) che indica quanto siamo vicini al giorno del giudizio, in questo 2020 è arrivato a 100 secondi dalla fine. Stiamo vivendo il momento più pericoloso della storia? Le notizie continue, sparate in primo piano, sul coronavirus cinese, completano lo stato di paura. Che è ingiustificato, ma "serve"

Editoriali 28_01_2020 English Español
Global Warming, pericoloso quanto una guerra nucleare?

Dal 1947 ticchetta l’orologio dell’apocalisse. E’ il Doomsday Clock, l’orologio (immaginario) che indica quanto siamo vicini al giorno del giudizio, al momento in cui l’umanità si estinguerà per una catastrofe non naturale: la guerra termonucleare globale. La vicinanza, che per comodità viene espressa in minuti e secondi, in realtà indica il livello di rischio che corriamo, secondo il comitato di scienziati che emette quasi a cadenza annuale il Bulletin of the Atomic Scientists. La novità agghiacciante di questa settimana, è che l’orologio dell’apocalisse ha la lancetta a soli 100 secondi dalla mezzanotte. Il comitato avverte: “è il momento più vicino all’apocalisse di sempre. Nel farlo (spostare idealmente la lancetta, ndr), i membri del comitato stanno esplicitamente allertando i lettori e i cittadini di tutto il mondo, sul fatto che la situazione della sicurezza internazionale è più pericolosa oggi rispetto anche ai periodi di maggiore tensione della Guerra Fredda”.

Per fare un confronto con alcuni momenti del passato, nel 1983 non è stato neppure pubblicato l’orologio, eppure, in piena crisi degli Euromissili, in ben due occasioni in tre mesi (settembre e novembre 1983) il nervoso comando sovietico avrebbe potuto lanciare le armi nucleari contro la Nato e solo la lucidità e la fermezza di uomini ragionevoli come il colonnello Stanislav Petrov da parte sovietica e il tenente generale Leonard Perroots da parte americana hanno evitato il peggio. Troviamo un aggiornamento dell'orologio pubblicato nel 1984: segna 3 minuti a mezzanotte. Molto meno grave di oggi. Nel 1973, quando le flotte americana e sovietica quasi si scontravano nel Mediterraneo e le forze nucleari strategiche statunitensi venivano poste in allerta aumentata (Defcon 3), mentre in Israele era in corso la guerra dello Yom Kippur, l'orologio dell'apocalisse segnava placidamente i 12 minuti a mezzanotte nel 1972 e 9 minuti un anno dopo.  La crisi dei missili di Cuba? Nel 1963, un anno dopo, l’orologio segnava già 12 minuti a mezzanotte (una grande fiducia in Kennedy e Chrushev?). Solo nel 1953 (fine della guerra di Corea, morte di Stalin e test della prima bomba H americana) troviamo l’orologio a 2 minuti a mezzanotte.

Nessun periodo è mai stato così pericoloso quanto il nostro, a giudicare dal Bulletin of the Atomic Scientists: dal 2018 ad oggi l’orologio è sempre stato a 2 minuti a mezzanotte, peggio che nella crisi dei missili di Cuba o di quella degli Euromissili. In questo 2020, per la prima volta, contiamo i secondi alla mezzanotte: 100 secondi, poco più di un minuto e mezzo. Siamo a un passo dalla guerra atomica e non ce ne eravamo accorti? Cosa è mai successo di così catastrofico in questo triennio? Facile intuirlo: 2017-2020 sono gli anni dell'amministrazione Trump. Il Bulletin of the Atomic Scientists dichiara nel suo editoriale esplicativo: “L’umanità continua ad affrontare simultaneamente due pericoli esistenziali: la guerra nucleare e il cambiamento climatico”. Ecco la spiegazione: il cambiamento climatico, oggigiorno, viene considerato una causa di possibile estinzione umana al pari di una guerra atomica. E ritirandosi sia dall'accordo sul nucleare iraniano, sia da quello di Parigi sul clima, l'amministrazione Trump ha mandato letteralmente in tilt i redattori dell'Atomic Scientists, molto più di una crisi nucleare.

Nell’indignato editoriale di presentazione, gli scienziati affermano che il pericolo è cresciuto perché “negli ultimi due anni abbiamo visto come leader influenti denigrano e trascurano i metodi più efficaci per affrontare minacce complesse, gli accordi internazionali con regimi forti di verifica, a favore dei loro piccoli interessi e del vantaggio politico interno”. E indovinate a quali politici si riferiscono? Ne nominano due: Trump e Bolsonaro, quest’ultimo solo per la sua gestione dell’Amazzonia. Ci troviamo dunque di fronte, non a una previsione realistica dell’apocalisse prossima ventura, ma di un pamphlet politico di sinistra.

Ma intanto l’allarme è lanciato da una fonte autorevole e ha una risonanza mondiale. Fa rima con il panico da epidemia che si sta rapidamente diffondendo in tutti i grandi media dopo la scoperta del nuovo coronavirus in Cina, a Wuhan. Su una popolazione urbana di 11 milioni di persone (in una nazione che conta 1 miliardo e mezzo di abitanti), i morti sono poco più di 100 (ad oggi). In un’influenza stagionale in Italia i morti si contano nell’ordine delle migliaia, da 4mila a 6mila, giusto per fare un paragone. Se pure un rischio di epidemia non si può prendere sotto gamba, attualmente le cifre di cui disponiamo non dovrebbero indurci al panico. Non giustificano il primo piano che tutti i media mondiali stanno dando a questa iniziale, potenziale, pandemia. Potremmo avere molta più paura di malattie come ebola, che in Africa ancora miete vittime, ma di cui stranamente si parla molto meno.

Così come i “100 secondi alla mezzanotte” del Doomsday Clock, i reiterati appelli di Greta Thunberg che ci ricorda sempre che “non abbiamo più tempo”, la paura del virus completa lo stato di paura in cui ci infiliamo ogni volta che apriamo un giornale. C’è un filo rosso che li lega tutti. “Non governare la tua nazione, lasciati governare da organismi internazionali”, chiedono gli scienziati autori del Doomsday Clock. “Non produrre quanto vuoi”, dice Greta, “ma lasciati guidare da organismi internazionali che ti diranno quanto e cosa produrre”. E anche il coronavirus cinese, che è (pure quello) attribuito al cambiamento climatico non fa che rafforzare la smania di controllo internazionale: sui voli, sulle cure, sulle nostre abitudini personali. Il tutto nel nome dell’emergenza, che permette di censurare ogni obiezione. Di fronte alla reazione di autorità comuniste cinesi, che si vantano di costruire un ospedale in 10 giorni (qualcuno verifica se è vero?) e di isolare completamente una megalopoli di 11 milioni di abitanti (con quali metodi? Con quanta efficacia?), c’è chi, anche da noi, inizia a pensare che sia meglio “fare come in Cina”. Seguire l’esempio di una dittatura comunista.