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FOCUS

Stati "vegetativi", Routley insegna

Un team di neurologi scopre che un giovane canadese da 12 anni in stato "vegetativo" è cosciente, risponde agli stimoli e "dialoga" con i medici.. E non è l'unico caso. Probabilmente era così anche per Eluana Englaro. Un altro motivo che smonta le tesi pro-eutanasia.

Vita e bioetica 03_12_2012
Scott Rutley

Scott Routley è un canadese trentanovenne che per 12 anni è stato considerato in stato “vegetativo” (vedi sotto, per capire le virgolette di “vegetativo”), in seguito ad una lesione cerebrale gravissima. Da quel momento non ha più mostrato segni di consapevolezza.
Fino alla recente scoperta: Scott è cosciente e ha comunicato che non prova dolore.

Ha dato questa risposta ad un team di medici, guidati dal neurologo Adrian Owen, che monitoravano la sua attività cerebrale mediante una risonanza magnetica. «Scott è stato in grado di dimostrare che ha una mente conscia e pensante. Lo abbiamo analizzato più volte e il suo modello di attività cerebrale mostra che sta chiaramente scegliendo di rispondere alle nostre domande. Crediamo che sappia chi è e dove si trova», ha spiegato Owen, che è stato soprannominato il “lettore della mente” per i suoi studi sui soggetti con lesioni cerebrali.

Infatti, Owen (con M. Coleman, M. Boly, M. Davis, S. Laureys e J. Pickard) ha pubblicato già nel 2006, sulla prestigiosa rivista «Science» (n. 313 [2006], p. 1402), uno studio dal significativo titolo Detecting Awareness in the Vegetative State, in cui riferiva per esempio il caso di Judy, una ragazza inglese, anch’essa considerata in stato “vegetativo”, che invece risultava in qualche misura cosciente.

Owen, infatti, aveva già studiato l’attivazione delle aree cerebrali di soggetti coscienti in reazione a certe domande, a certe richieste e a certi stimoli; fece le stesse domande e le stesse richieste a Judy: per esempio le chiese di immaginare di giocare una partita a tennis o di camminare dentro casa. La sorpresa fu rilevare che nel cervello della ragazza l’attivazione era identica a quella dei soggetti coscienti.

Da notare che, quando Scott ha reagito alle domande dei medici, dal punto di vista di un osservatore esterno è rimasto in stato “vegetativo”, passivo: non si è manifestato cioè alcun cambiamento esteriore. Ma è emerso che egli è interiormente attivo.

In Italia c’è poi il caso di Salvatore Crisafulli (cfr. www.salvatorecrisafulli.it), un siciliano in stato considerato “vegetativo” che, dopo essersi ripreso, ha comunicato che durante il suo apparente stato di incoscienza in realtà capiva ciò che accadeva intorno a lui e tremava quando sentiva qualcuno parlare di “staccare la spina”.

Ovviamente i casi citati – ed altri che si potrebbero menzionare (alcuni, non certo tutti, sono utilmente riportati in www.documentazione.info/stato-vegetativo-ecco-alcuni-casi-di-risveglio) – non sono identici, ma hanno un minimo comun denominatore, molto significativo, che entra in contrasto con chi invoca l’eutanasia per chi versa in stato “vegetativo”.

In effetti, anzitutto, la mancanza di autocoscienza non toglie all’uomo quella dignità incommensurabile che gli appartiene, quindi non autorizza ad ucciderlo. Ma questa affermazione richiederebbe una lunga spiegazione che qui non è possibile svolgere.

Inoltre, la nozione di stato “vegetativo” è una manipolazione linguistica, perché induce a pensare che il soggetto in questo stato non sia più un essere umano, bensì un vegetale.
Invece (come illustrava già Aristotele), è l’essere (la natura) di un’entità ciò che determina le sue potenzialità e che determina il suo agire (per esempio una farfalla ha una sua natura, perciò non può avere le potenzialità di un gatto e non può compiere le attività di un gatto e lo stesso vale per il gatto e le sue attività, che non possono essere quelle della farfalla): non si può agire in un certo modo se non si ha già la natura corrispondente (un animale non può volare se prima di volare non ha già la natura del volatile, un albero non può produrre mele se prima di produrle non ha già la natura del melo, ecc.).
E la mera cessazione dell’agire non può cambiare la natura di un ente: un melo non smette di essere melo perché non produce più mele, un pesce non smette di essere pesce se non riesce più a nuotare e una persona non smette di essere persona se, in stato “vegetativo”, cessa di compiere attività razionali.
È perciò corretto definire piuttosto questa condizione «sindrome da veglia aresponsiva», come si comincia a fare nel linguaggio medico.

Ma, in più, il caso di Routley e altri casi analoghi mostrano che ci sono soggetti con questa sindrome che durante il loro apparente stato di incoscienza in realtà capiscono ciò che accade e ciò che viene detto loro, che vogliono parlare, ma non ci riescono; quindi non è per niente detto che la vita di questi soggetti sia priva di autocoscienza, anzi ci sono ormai diversi casi in cui è chiaro il contrario.

Forse era così anche per Eluana Englaro: come scrive la sua cartella clinica, alla data 15 ottobre 1993, «stimolata a dire la parola “mamma” è riuscita a dirla due volte, in modo comprensibile» (cfr. il bell’articolo di Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, uscito su «Avvenire» del 9 febbraio 2010, http://www.scienzaevita.org/rassegne/d3079d0be876bd9c78a167300bd150ae.pdf)

Insomma, non c’è per nulla certezza che questi soggetti siano privi di coscienza, né che lo siano definitivamente. Perciò, dobbiamo applicare il principio di prudenza: anche qualora (e non è così) la dignità umana dipendesse dall’esercizio dell’autocoscienza, non dobbiamo correre il rischio di uccidere degli uomini che potrebbero essere autocoscienti e che potrebbero riprendersi.