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AMERICA PROFONDA

Stan Evans, il conservatore convertito in punto di morte

Medford Stanton "Stan" Evans è un eroe intellettuale del conservatorismo americano. Individuò nel Medio Evo cattolico una delle radici principali della civiltà nord-americana. A un mese e mezzo dalla sua morte apprendiamo anche che si convertì al cattolicesimo. Merito di un suo allievo.

Cultura 28_05_2015
Stan Evans

Stan Evans, morto a 80 anni il 3 marzo, è stato uno dei grandi eroi del movimento conservatore statunitense. Texano di Kingsville nato il 20 luglio 1934, cresciuto in Tennessee (dove suo padre, docente universitario e gran conservatore, lavorava a certi progetti nucleari del governo), Medford Stanton Evans ‒ per tutti sempre “Stan” ‒ fu folgorato giovanissimo da uno degli emblemi della cosiddetta Old Right, Frank Chodorov (1887-1966), da cui apprese una viscerale ma studiata avversione a ogni forma di socialismo e di dirigismo.

Nel 1955 si laureò con lode a Yale in Inglese e poi studiò Economia nell’Università di New York nientemeno che con il maestro della Scuola austriaca Ludwig von Mises (1881-1973), ma il suo pane è sempre stato il giornalismo. La buona battaglia con la penna la cominciò che ancora era studente, ma fu in quel 1955 di laurea che piccò il volo impiegandosi come aiuto redattore al leggendario The Freeman. L’anno successivo entrò nello staff di National Review ‒ la “casa comune” giornalistica del conservatorismo americano, fucina di tutti i talenti e matrice di ogni progetto ‒ e fu anche assunto come caporedattore a Human Events, il primo, storico settimanale della Destra americana, fondato nel 1945 e gloriosamente resistito su carta sino al febbraio 2013. Condirettore di National Review dal 1960 al 1973, nel 1959 Evans divenne editorialista di The Indianapolis News e l’anno dopo fu promosso alla sua direzione, che esercitò fino al 1974; aveva solo 26 anni ed era già il più giovane tra i direttori di quotidiano delle grandi città.

Né fu questo il suo unico record. L’altro, alquanto clamoroso, lo segnò con un libro dal titolo impegnativo, The Future of Conservatism (Holt, Rinehart and Winston, New York), dove indicava in Ronald Reagan (1911-2004) il leader politico dei conservatori. Era però il 1968, 12 anni prima dell’ascesa di Reagan alla presidenza.

Puntò sempre forte anche sulle nuove generazioni e per questo nel 1977 fondò a Washington il National Journalism Center (che diresse fino al 2002) e per oltre 30 anni insegnò Giornalismo alla Troy University dell’Alabama.

Stan Evans in conferenza

L’11 settembre 1960 fu tra i creatori dell’organizzazione studentesca da cui poi germinò l’intero movimento conservatore; anzi, fu lui a scriverne il manifesto d’intenti, quello Sharon Statement che prese il nome della cittadina del Connecticut dove tutto nacque nella casa di campagna del fondatore di National Review, William F. Buckley Jr. (1925-2008). La leggenda narra che in poche decine di minuti Evans scrisse a penna il manifesto sopra un tovagliolino di carta a bordo dell’areo che lo portava a destinazione; sia come sia, fu allora che nacque quello che un giorno, con un temine in sé bruttarello, sarebbe stato chiamato “fusionismo”, una sintesi perfetta tra economia di mercato, anticomunismo e princìpi non negoziabili che avrebbe fatto la fortuna del conservatorismo americano.

Una decina sono i libri che ha pubblicato, tra i quali spiccano certamente Revolt on the Campus (Regnery, Chicago 1961), The Liberal Establishment (Devin-Adair, New York 1965), Clear and Present Dangers: A Conservative View of America’s Government (Harcourt Brace Jovanovich, San Diego 1975) e il distico con cui ha letteralmente polverizzato tanto le calunnie per decenni rivolte dai “salotti buoni” al senatore, cattolico e anticomunista, Joseph McCarthy (1908-1957) quanto chi ha cercato di ridicolizzarne la battaglia anticomunista, Blacklisted by History: The Untold Story of Senator Joe McCarthy and His Fight Against America’s Enemies (Random House, New York 2007) e Stalin’s Secret Agents: The Subversion of Roosevelt’s Government (Simon & Schuster, 2012).

Ma un posto a sé, in cima al podio, spetta a The Theme Is Freedom; Religion, Politics, and the American Tradition (Regnery, Washington 1996) in cui Evans traccia un profilo nobile dello spirito americano di libertà, tra l’altro rintracciandone gli aspetti più profondi e positivi nell’eredità medievale arrivata anche nel Nuovo Mondo: non sempre per linee diritte, certo, ma comunque arrivata. Non molto dissimilmente aveva fatto, sin dal 1974, il maestro di tutti i conservatori americani, Russell Kirk (1918-1994) con il suo The Roots of American Order, libro che proprio in quell’anno il sottoscritto pubblicava in traduzione italiana con il titolo Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo (Mondadori). A Washington, nella sede del suo National Journalism Center, discussi a lungo con Evans dell’argomento; raffrontammo le due opere, ed Evans mi disse nettamente di apprezzare moltissimo l’opera di Kirk (che, per inciso, intitolava il capitolo sull’“età di mezzo” come l’opera più famosa e clamorosa della specialista francese Régine Pernoud [1909-1998], che peraltro non conosceva, Luce del Medioevo), ma che se fosse stato nel “maestro” Kirk avrebbe sottolineato ed enfatizzato ancora di più proprio l’eredità medioevale. Ebbene, Kirk era cattolico (per conversione, nel 1964), ma Evans no. Era un metodista, e quindi in tesi un avversario del Medioevo cattolico.

Stan Evans alla AEI

Oggi però una notizia davvero dell’ultima ora riordina per bene le cose. Se ne fa latore R. Cort Kirkwood su Chronicles: A Magazine of American Culture, il mensile diretto a Rockford, nell’Illinois, dall’ex episcopaliano convertitosi anni fa al cattolicesimo Thomas J. Fleming. Enumerando le grandi imprese di Evans, Kirkwood afferma che la maggiore è stata quella di avere ispirato a un giovane studente del suo National Journalism Center, Mario Aquinas Calabrese, la vocazione sacerdotale. Cattolica, lui che era metodista. Calabrese fu infatti profondamente ispirato proprio da The Theme Is Freedom dove apprese della natura intrinsecamente cristiana dell’ordine politico americano. Approfondendo lo studio di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino, Calabrese ha così poi scelto di entrare nei domenicani. Ebbene, «Padre Calabrese ha visitato Stan al capezzale quattro volte», scrive Kirkwood, «ha battezzato il suo vecchio amico e gli ha amministrato anche tutti gli altri sacramenti». Insomma, «Medford Stanton Evans è morto nella Fede», quella che si scrive con la maiuscola, quella vera, quella cattolica. «Il suo investimento nelle cose che contano gli ha fruttato guadagni eterni».