Sri Lanka: vietate le Messe domenicali e il velo integrale
Le misure di sicurezza adottate nello Sri Lanka la dicono lunga sulla paura che ha colto il paese nell’Oceano Indiano dopo le devastanti bombe di Pasqua. Il cardinal Malcolm Ranjith vieta le Messe domenicali e i riti funebri. Il presidente Sirisena proibisce ogni velo che copre il volto.
Le misure di sicurezza, senza precedenti, adottate dal governo e dalla Chiesa dello Sri Lanka, la dicono lunga sulla paura che ha colto il paese nell’Oceano Indiano dopo le devastanti bombe di Pasqua. Più di 250 persone sono state uccise in una serie di esplosioni simultanee in alberghi di lusso e in tre chiese il 21 aprile, la mattina di Pasqua. La maggior parte delle vittime si registra nella chiesa di Sant’Antonio, a Colombo e nella chiesa di San Sebastiano, a Negombo, a un’ora d’auto dal centro della capitale.
Una settimana dopo le bombe, il 28 aprile, Maithripala Sirisena, il presidente dello Sri Lanka, grazie ai poteri emergenziali, ha vietato tutti i tipi di veli integrali, compreso il burqa islamico. Un comunicato stampa dell’ufficio presidenziale recita: “Ogni forma di mascheramento del volto che possa impedire l’identificazione di una persona è vietato dalle leggi d’emergenza”.
Questa dichiarazione arriva, domenica 28 aprile, dopo che il presidente Sirisena, con il primo ministro Ranil Wickremesinghe ha partecipato alla Messa, trasmessa in televisione, presso la residenza del cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo. “Questo è un momento in cui il nostro animo è provato dalle grandi distruzioni avvenute domenica scorsa”, ha dichiarato il cardinal Ranjith nella sua omelia, durante la Messa trasmessa in Tv alla nazione. “Questo è un momento in cui domande quali - Dio ci ama veramente? ha compassione per noi? - possono sorgere nel cuore dell’uomo”, ha detto il cardinal Ranjith, che ha vietato le messe domenicali e i servizi funebri.
Il divieto delle messe domenicali, una decisione senza precedenti, è stato necessario dopo aver appreso da rapporti di polizia che diversi terroristi suicidi appartenenti all’organizzazione islamista chiamata National Thowheeth Jamaath (Ntj) sono ancora a piede libero. “Le forze dell’ordine non hanno ancora risolto del tutto la situazione… Potrebbero esservi altri attacchi durante incontri pubblici”, ha chiarito, il 23 aprile, il cardinal Ranjith, quando si è recato nella chiesa di Negombo, la più duramente colpita, per celebrarvi il funerale di ventiquattro vittime.
La preoccupazione espressa dal cardinal Ranjith è condivisa da uno dei principali quotidiani in lingua inglese, The Island, che, il 24 aprile, riporta: “Trovata una lista di 160 terroristi, ma nessuno arrestato”. Nonostante la polizia abbia arrestato più di un centinaio di persone legate alla serie di attentati, il timore è confermato dall’uccisione di 15 persone, fra cui sei bambini, nella casa della mente dell’attentato, quando le forze di sicurezza, il 26 aprile, hanno fatto irruzione nella casa della sua famiglia. Secondo fonti governative, le morti sono avvenute nel corso di un raid nell’abitazione, in cui tre terroristi suicidi, messi alle strette, hanno fatto detonare i loro esplosivi, mentre altri scambiavano colpi d’arma da fuoco con gli agenti presso la città orientale di Kalmunai, a 370 km da Colombo.
Il cardinal Ranjith ha accusato le carenze della sicurezza e il governo srilankese ha ammesso che gli allarmi dei servizi di intelligence stranieri, che avvertivano di probabili attacchi contro bersagli cristiani, non hanno dato adito a contromisure da parte dei funzionari di competenza. Ruwan Wijewardene, il ministro della Difesa, ha dichiarato al Parlamento che la “debolezza” nell’apparato di sicurezza dello Sri Lanka ha impedito la prevenzione delle mortali esplosioni. Il presidente Sirisena ha chiesto al capo della polizia dello Sri Lanka e al ministro della Difesa di rassegnare le dimissioni, visto che non erano riusciti a prevenire gli attentati, malgrado le forze di sicurezza indiane li avessero messi in guardia, dopo aver interrogato membri dello Stato Islamico tornati in India.
“Il Paese è rimasto in una condizione di semi-paralisi, perché la gente ha paura di andare al lavoro in città e in luoghi affollati come i centri commerciali e i mercati. Anche le scuole restano chiuse”, ha dichiarato il 29 aprile, in un comunicato stampa, il Consiglio per la Pace Nazionale, a cui aderiscono tutti i principali gruppi religiosi, compresa la Chiesa Cattolica. “Dopo che chiese e alberghi sono stati attaccati, la gente non sa quale sarà il prossimo obiettivo. Una paura così diffusa e pervasiva non aveva attanagliato il paese neppure nei peggiori momenti della pluri-decennale guerra con l’LTTE”, ha sintetizzato Jehan Perera, cattolico, direttore della comunicazione del Consiglio per la Pace. “La paura si è diffusa quando le stesse forze di sicurezza hanno detto che alcuni terroristi erano ancora a piede libero”, ha detto Perera al vostro corrispondente. “All’inizio, nessuno aveva idea di chi fossero i responsabili. Ora il quadro è chiaro. Siamo vittime di una minaccia globale”, ha sottolineato Perera, quando gli poniamo la domanda sul temuto Stato Islamico, che ha rivendicato la responsabilità per il devastante attentato di Pasqua.
Mentre le chiese hanno subito i colpi peggiori, le simultanee bombe negli alberghi di lusso, nelle sale in cui si consumava la colazione, hanno provocato la morte di 40 cittadini stranieri, fra cui 11 indiani, 4 statunitensi e tre bambini, figli di Anders Holch Povlsen, l’uomo più ricco della Danimarca.