Speranza, un'ancora gettata nella riva del Cielo
"I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora".
Con la visita alle tombe dei Pontefici nelle grotte vaticane si è concluso, il 2 novembre, il ciclo di gesti e discorsi di Papa Francesco dedicato alla festa di Tutti i Santi e alla commemorazione dei fedeli defunti. Giornate di meditazione, certo, ma giornate dedicate soprattutto alla speranza.
Nell'Angelus del 1° novembre il Papa ha anzitutto proposto il lieto annuncio cristiano «che il traguardo della nostra esistenza non è la morte, è il Paradiso!». Francesco ha invitato a rileggere la Prima Lettera di san Giovanni: «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). I santi, i fratelli che sono già in Paradiso, sono i garanti di questa promessa. «I santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi, come ognuno di noi, sono persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze».
Come sono diventati santi? «Quando hanno conosciuto l’amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace». Ancora, i santi «non hanno posto condizioni a Dio; non sono stati ipocriti; hanno speso la loro vita al servizio degli altri per servire il prossimo; hanno sofferto tante avversità, ma senza odiare».
Ecco una nuova definizione dei santi: «non hanno mai odiato» le persone, per quante persecuzioni possano avere subito. I santi infatti sanno che «l'odio non viene da Dio, ma dal diavolo! E i Santi si sono allontanati dal diavolo». Tutti possiamo farlo! «Essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità; tutti noi nel Battesimo abbiamo l’eredità di poter diventare santi. La santità è una vocazione per tutti».
I santi, infine, sono diventati santi non grazie ai loro sforzi puramente umani ma affidandosi totalmente alla grazia. Così, «i santi ci danno un messaggio. Ci dicono: fidatevi del Signore, perché il Signore non delude!». Naturalmente, seguire il Signore implica spesso non seguire il mondo. «Con la loro testimonianza i santi ci incoraggiano a non avere paura di andare controcorrente o di essere incompresi e derisi quando parliamo di Lui e del Vangelo; ci dimostrano con la loro vita che chi rimane fedele a Dio e alla sua Parola sperimenta già su questa terra il conforto del suo amore e poi il “centuplo” nell’eternità».
«Con sapienza - ha detto il Pontefice - la Chiesa ha posto in stretta sequenza la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti». Già all'Angelus del 1° novembre Francesco ha ricordato i defunti, spiegando che porta nel suo cuore in modo speciale «i cristiani che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni» e i migranti e rifugiati morti nel disperato tentativo di «raggiungere una condizione di vita migliore».
Per la commemorazione dei defunti del 2 novembre, il Papa ha visitato la sera della vigilia il cimitero romano del Verano, evocando «la bellezza, la bontà, la verità, la tenerezza, l’amore pieno» che aspetta tutti noi, se realizzeremo la chiamata alla santità, in Paradiso. Papa Francesco ha poi sviluppato al Verano un tema teologico caro al suo predecessore Benedetto XVI, il Pontefice tedesco che aveva studiato in modo approfondito Martin Lutero (1483-1546), criticandone gli errori che nascono da una visione distorta del rapporto tra fede e ragione, e nello stesso tempo valorizzandone, anche in prospettiva ecumenica, la prima intuizione - in polemica con l'orgoglio dell'uomo rinascimentale, che pensava di potersi salvare da solo - secondo cui ci si salva non per le nostre opere, ma per la grazia misericordiosa di Dio.
Francesco, che più volte ha criticato varie forme di «pelagianesimo», cioè dottrine e atteggiamenti per cui potremmo salvarci grazie ai nostri sforzi, ha affermato che coloro che sono in Paradiso proclamano «che sono stati salvati non per le loro opere – hanno fatto anche opere buone – ma sono stati salvati dal Signore: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello"(Ap 7, 10). È Lui che ci salva, è Lui che alla fine della nostra vita ci porta per mano». L'accenno al fatto che i santi «hanno fatto anche opere buone» è importante per distinguere la posizione cattolica dagli eccessi di Lutero, che finiva per considerare le opere irrilevanti. Ma resta vero che, ultimamente, non è tramite le opere che ci si salva.
L'Apocalisse ci mostra che ci si salva «grazie al sangue dell’Agnello, grazie al sangue di Cristo. È proprio il sangue di Cristo che ci ha giustificati, che ci ha aperto le porte del Cielo. E se oggi ricordiamo questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nella vita e sono in Cielo, è perché essi sono stati lavati dal sangue di Cristo. Questa è la nostra speranza: la speranza del sangue di Cristo! Una speranza che non delude».
Francesco ha citato ancora la Prima Lettera di Giovanni: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce. Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è» (1 Gv 3,1-2). Si delinea qui una grande speranza, impensabile fuori del contesto cristiano: «vedere Dio, essere simili a Dio». Oggi, ha detto il Papa, «è necessario pensare un po’ alla speranza: questa speranza che ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora».
La speranza non ci chiude in noi stessi: «è un po’ come il lievito, che ti fa allargare l’anima», e ci fa camminare in fretta, comunicando la nostra speranza agli altri, «ci purifica, ci alleggerisce». Nel giorno dei defunti, «ciascuno di noi può pensare al tramonto della sua vita: “Come sarà il mio tramonto?”. Tutti noi avremo un tramonto, tutti! Lo guardo con speranza? Lo guardo con quella gioia di essere accolto dal Signore?». «Pensiamo al tramonto di tanti fratelli e sorelle che ci hanno preceduto, pensiamo al nostro tramonto, quando verrà. E pensiamo al nostro cuore e domandiamoci: “Dove è ancorato il mio cuore?”. Se non fosse ancorato bene, ancoriamolo là, in quella riva, sapendo che la speranza non delude perché il Signore Gesù non delude».