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L'INTERVENTO TURCO

Spartizione siriana: vantaggi per tutti, tranne i curdi

È facile prevedere la vittoria dei turchi sulle deboli milizie curde nel Nordest della Siria. La Turchia (come gli Usa e la Coalizione) è una presenza illegale in Siria. La reazione debole di Russia e Usa all'Onu fa intendere però che la mossa turca fosse concordata. Una spartizione che avvantaggia tutte le parti, tranne i curdi.

Esteri 13_10_2019
Siria settentrionale, soldati turchi al fronte

Se le prospettive politiche dell’offensiva turca in Siria appaiono quasi scontate, quelle militari lasciano aperte alcune incognite, specie se si vogliono valutare gli sviluppi a medio-lungo termine. Tutte le forze militari straniere presenti in Siria "illegalmente", quindi senza il consenso del governo di Bashar al-Assad, devono lasciare il Paese, ha detto ieri il presidente russo Vladimir Putin. "È qualcosa che dico apertamente ai nostri colleghi: il territorio siriano deve essere liberato dalla presenza militare straniera e l'integrità territoriale siriana deve essere ripristinata", ha detto Putin.

Una valutazione che può apparire scontata, tenuto conto che i militari russi costituiscono la sola presenza militare straniera richiesta dal governo di Damasco, ma che ha il merito di evidenziare un dato che nel mondo non ha avuto l’impatto che avrebbe meritato anche in termini di rispetto de diritto internazionale. La presenza in Siria di truppe della Coalizione statunitensi, britanniche e francesi è del tutto illegale in termini giuridici. Anzi, costituisce un atto di aggressione e di guerra nei confronti dello Stato siriano. La Coalizione anti-Isis a guida USA è stata invitata a intervenire in Iraq dal governo di Baghdad, ma non da quello di Damasco. Al tempo stesso anche la presenza turca nel nord del paese, da Idlib ad Afrin e oggi lungo tutta la frontiera fino ai confini iracheni, è del tutto illegittima. Una premessa spesso ignorata in Europa da media e politica, sempre attenti però su altri scenari (dalla Crimea, alla Cisgiordania all’immigrazione illegale) a evidenziare proprio gli aspetti legati al diritto internazionale.

Sul piano militare la penetrazione turca ha già raggiunto in alcuni settori la decina di chilometri, circa un terzo della profondità di 30/32 chilometri prevista dall’operazione lanciata da Ankara per costituire la fascia di sicurezza. Almeno tre i caduti turchi nelle prime 24 ore dell’offensiva, ma sarebbero di più i miliziani dell’Esercito Siriano Libero alleato di Ankara e impiegato come “apripista” contro le forze curde. Venerdì sera il comando turco ha annunciato di aver eliminato 399 “terroristi”, termine con cui vengono indicati i combattenti delle Unità di protezione popolare (YPG) curde. Numeri forse esagerati dalla propaganda ma non c’è dubbio che Ankara sta impiegando senza risparmio né esitazioni armi pesanti e artiglieria, come dimostra anche il bombardamento della base americana di Kobane, evacuata dalle truppe Usa che secondo il Pentagono non avrebbero subito perdite. Danni collaterali, per una volta statunitensi, che confermano la volontà turca di assumere il controllo di tutte le città del nord della regione curda del Rojava da cui potrebbero venire cacciati 2,5 milioni di curdi, da rimpiazzare nei piani di “ingegneria etnica e demografica” di Ankara con 3 milioni di profughi siriani arabi.

Difficile poi non notare come quell’Occidente tutto che si commosse e trepidò per la resistenza curda quando Kobane rischiava di cadere nelle mani dell’Isis oggi non fa una piega di fronte all’invasione della stessa città da parte di truppe turche e milizie islamiste aderenti alla Fratellanza Musulmano, non meno jihadista dell’Isis. Sono, del resto, scarse le possibilità delle YPG di fermare i circa 10mila militari turchi e i loro alleati siriani dell’ESL (14 mila uomini impiegati nell’operazione): i curdi non dispongono né di velivoli né di una reale capacità di difesa contraerea. È vero che gli USA hanno abbondantemente armato e finanziato l’YPG per combattere l’Isis, ma solo con armi di impiego terrestre dal momento che lo Stato Islamico non disponeva di forze aeree. Per questo oggi le YPG, pur contando su circa 35mila combattenti in tutta la Siria orientale, non sono in grado di opporre una costante resistenza frontale all’avanzata nemica pur mettendo in atto imboscate, azioni di disturbo e bombardamenti di mortai che colpiscono il territorio turco. I pochi mezzi pesanti a disposizione sono i carri T-55 e i cingolati BMP-1 sottratti all’Isis che a sua volta li aveva sottratti all’esercito siriano. Sul medio lungo termine però la capacità dei curdi di mantenere una forte pressione sul nemico all’interno della fascia di sicurezza potrebbe incrinare la capacità politica di Ankara di sopportare costi finanziari e umani dell’occupazione della fascia di sicurezza.

Persino Israele nel 2000 dovette abbandonare la “fascia di sicurezza” nel Libano meridionale a fronte dell’insofferenza della società di fronte ai caduti registrati in quei territori. Possibile che anche i turchi subiscano nel tempo un simile logoramento anche se i recenti attacchi dell’Isis contro le postazioni curde lungo il confine turco lasciano intendere che Ankara abbia già un’intesa con le milizie del Califfato per contrastare i curdi in tutta la Siria orientale. Un’ipotesi che potrebbe vedere la tanto temuta liberazione da parte delle autorità turche dei 12mila combattenti del Califfato detenuti nelle prigioni del nord della Siria che i curdi stanno abbandonando sotto l’incalzare delle truppe di Ankara.

A breve termine i curdi sembrano destinati a rifugiarsi tra le braccia del governo siriano e dei russi, che due anni or sono avevano sconsigliato le autorità curde dal fidarsi delle promesse statunitensi. Damasco, che soffre la carenza di truppe e ha il grosso delle sue forze di prima linea schierate intorno a Idlib, ultima roccaforte delle milizie ribelli, ha tutto l’interesse a riprendere il controllo dei pozzi di gas e petrolio dell’est oggi in mano a curdi e truppe americane così come ha interesse a farli presidiare dai curdi inquadrati all’interno dello Stato siriano con un’ampia un’autonomia e con il supporto di Mosca.

Del resto la posizione morbida assunta da Russia e Stati Uniti di fronte a una risoluzione dell’Onu di condanna ad Ankara, induce a credere che vi sia un fondamento alle indiscrezioni sull’intesa raggiunta alcune settimane or sono in base alla quale Mosca e Damasco avrebbero accettato l’invasione turca del nord in cambio del via libera per schiacciare i ribelli a Idlib. Un accordo gradito forse anche a Donald Trump che avrebbe così l’opportunità di ritirare l’ultimo migliaio di soldati americani ancora schierati in Siria. Un compromesso che comporta vantaggi, limitati ma pur sempre vantaggi, per tutti tranne ovviamente per i curdi.