Spagna, in realtà il governo non combatte l'aborto
Il presidente mondiale dei Giuristi Cattolici spiega la genesi della legge spagnola sull'aborto, nata sotto il governo Gozalez e ulteriormente estesa da Zapatero. Rajoy la vuol rivedere. Tornando alla legge Gonzalez.
Il 3 maggio, al grande convegno per la vita che si svolgerà a Roma, tutto il giorno, presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, la mattinata sarà dedicata ai lavori medici, con approfondimenti sulla contraccezione abortiva e non, e ad alcuni aspetti giuridici.
Relatori saranno Francesca Romana Poleggi, di Notizie Pro Vita; il presidente dei Giuristi per la Vita, Gianfranco Amato; il magistrato Alfredo Mantovano; l’avvocato Livio Podrecca, dei Giuristi Cattolici, i professori dell’ Università Europea di Roma Luca Galantini e Alberto Gambino, e, infine, il professore spagnolo Miguel Ayuso, presidente dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici. Lo abbiamo sentito, per alcune domande.
Caro professor Ayuso, ci racconta quale è il suo campo di studi, in ambito giuridico?
Ho lavorato sia nel campo pratico che nel teorico. Per quanto riguarda il primo, sono stato magistrato militare per trent’anni e durante sette anni svolsi attività alla sezione penale della Corte di Cassazioni di Spagna. Ma sono anche professore ordinario di Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza della Pontificia Università Comillas di Madrid, dove mi sono occupato di diritto costituzionale positivo e di filosofia del diritto e della politica con circa venticinque libri sulla crisi della legge, della Costituzione, dello Stato, etc.
In Spagna il governo Zapatero ha introdotto leggi contro la vita e la famiglia. Da fuori è sembrato a molti che gli spagnoli non reagissero, ed anzi, ritenessero giusto “aggiornarsi” e buttar via secoli di tradizione cattolica. Poi però qualcosa è successo, e il mondo cattolico ha ripreso vigore e consapevolezza. È giusta questa analisi?
Le leggi contro la famiglia risalgono ai governi democristiani alla fine degli anni Settanta, con le modifiche del diritto di famiglia in materia di filiazione e l’introduzione del divorzio. Il primo governo socialista di Felipe González, negli anni ottanta, depenalizzò l’aborto nelle ipotesi di malformazione del feto, gravi rischi per la salute psichica o fisica della madre, violenza sessuale. In pratica, invece, si aprì la porta per l’aborto di comodo. La Corte costituzionale rigettò il ricorso del Partito Popolare perché il nascituro non è persona ma semplice bene giuridico degno di protezione, ma non assoluta. Ma quando il Partito Popolare arrivò al governo negli anni Novanta tuttavia non abrogò la legge. È stato Zapatero, in effetti, all’ inizio di questo secolo, a sostituire la legge dell’epoca di González con un’altra più permissiva. L’aborto non era più (in teoria) un reato punito tranne in tre casi, ma un diritto della donna fino a 14 settimane, entro cui la donna sarà assolutamente libera di scegliere la soppressione del feto, e fino alla 22ª settimana in caso di malformazione del feto. La reazione contro questa legge, ma anche contro altre misure aggressive della morale naturale e della Chiesa Cattolica, hanno effettivamente provocato una reazione sociale molto forte, nella linea che abbiamo trovato anni dopo nella Francia a proposito dell’introduzione del cosiddetto “matrimonio omosessuale” (anche introdotto in Spagna nell’epoca di Zapatero, oggetto di un ricorso del Partito Popolare, rigettato dalla Corte costituzionale, mentre il governo di Rajoy l’ha mantenuto).
Si discute in questo periodo sul tentativo del ministro Gallardon di limare, benché in minima parte, la legge abortista di Zapatero. Qual è il dibattito in Spagna?
Da una parte il mondo cosiddetto “progressista” ha voluto mobilitare i difensori dell’ideologia del gender e del femminismo, assieme con la sinistra, contro un cambiamento che considerano regressivo. Anche all’interno del Partito Popolare qualche settore si è opposto al senso della riforma. Che, non va dimenticato, è in sostanza quella di González, combattuta allora dal Partito Popolare e della Chiesa. Mentre oggi quello la promuove, e questa, la Chiesa, sembra favorire il cambiamento.
Lei è presidente mondiale dei giuristi cattolici: ci racconta in breve attività e scopi dell’associazione?
La Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici trae origine dalle associazioni di giuristi cattolici costituite in diversi Paesi a partire dagli anni Quaranta. Un primo tentativo viene fatto nel 1979 con il Congresso internazionale organizzato a Manila, nelle Filippine, e presieduto dal cardinale Opilio Rossi, allora Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. A seguito di vari altri incontri avuti a Roma, nel 1986 viene convocata a Parigi l’Assemblea generale costitutiva che segna la nascita dell’UIJC, dotandola dei primi statuti. Al fine di rinsaldare i legami tra le associazioni nazionali raggruppate dall’Unione, nel 1991 si organizza a Roma un Colloquio al quale partecipano giuristi cattolici provenienti da 17 Paesi di tre continenti. Il 17 ottobre 2002, il Pontificio Consiglio per i Laici decreta il riconoscimento dell’Union Internationale des Juristes Catholiques come associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio. La finalità della UIJC è di contribuire al mantenimento o alla reintroduzione dei principi cristiani nella filosofia e nella scienza del diritto, nell’attività legislativa, giudiziaria e amministrativa, nell’insegnamento e nella ricerca come pure nella vita pubblica e professionale. L’Unione – aperta ai problemi generali e locali del mondo contemporaneo e a soluzioni fedeli al Vangelo, alla tradizione della Chiesa e al Magistero autentico – opera per il riconoscimento e il rispetto del diritto naturale e cristiano in spirito di giustizia e di carità; per la tutela della vita umana, dal concepimento alla morte naturale; per l’affermazione della dignità della persona umana e dei diritti e doveri che ne conseguono; per la difesa e la promozione della visione cristiana della famiglia; per la diffusione e l’attuazione della dottrina sociale della Chiesa, specialmente nel campo giuridico.