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ELEZIONI

Spagna in crisi: la sinistra vince, ma non stravince

Con le terze elezioni parlamentari in 4 anni, la Spagna ha confermato il Partito Socialista Operaio di Pedro Sanchez. Fiducia sì, ma con giudizio: non avendo la maggioranza assoluta, il leader socialista dovrà negoziare coalizioni con altri partiti, fra cui gli indipendentisti catalani. Emerge Vox, partito sovranista, e crollano i Popolari.

Esteri 29_04_2019
La bandiera del Partito Socialista Operaio

Con le terze elezioni parlamentari in quattro anni, la Spagna ha confermato la fiducia nel Partito Socialista Operaio di Pedro Sanchez, attualmente al governo. Fiducia sì, ma con giudizio: non avendo la maggioranza assoluta, il leader socialista dovrà negoziare coalizioni con altri partiti, fra cui gli indipendentisti catalani. E nel frattempo, a destra, il partito sovranista Vox di Santiago Abascal, è emerso con un 10,3% di voti: non uno sfondamento come alcuni sondaggi prevedevano, ma comunque una buona affermazione. Il vero perdente è il Partito Popolare (16,7% dei voti), vittima di un’evidente emorragia di voti a destra.

Che la Spagna si trovi ancora immersa in una grande crisi lo si deduce anche solo dal numero delle elezioni anticipate. Non si tratta più tanto di una crisi economica, visto che il Paese è ormai in crescita (anche se la disoccupazione, pur in calo, resta una delle più alte in Europa con il 13,9%), quanto di una crisi istituzione e di identità. Di identità, prima di tutto, perché resta alta la tensione separatista della Catalogna, dopo il referendum dell’ottobre 2017, dichiarato illegale e represso dalle autorità di Madrid. Di identità anche religiosa: i programmi dei partiti di sinistra e quelli dei partiti di destra sono diametralmente opposti su vita, famiglia e istruzione. A queste due battaglie identitarie, vanno aggiunti altri due macro-temi molto rilevanti: la crisi economica (e come uscirne) e l’immigrazione dall’Africa, che in Spagna, dall’inizio dell’anno, è particolarmente massiccia. Cinque i contendenti nazionali principali: il Partito Socialista, Podemos, il Partito Popolare, Ciudadanos e Vox.

In estrema sintesi, i duri con la Catalogna sono il Partito Popolare, Ciudadanos e Vox. I primi due chiedono di implementare l’articolo 155 della Costituzione (poteri d’emergenza) fino al ripristino della Costituzione unitaria in Catalogna. Vox propone direttamente di revocare lo statuto di autonomia alla Catalogna e mettere fuori legge formazioni politiche e organizzazioni indipendentiste. E già che c’è, mira a riprendersi anche Gibilterra (Regno Unito). I morbidi sono invece i Socialisti (dialogo sulle autonomie regionali) e soprattutto Podemos (un referendum per definire lo status della Catalogna). Sui principi non negoziabili, gli schieramenti cambiano: a favore della legalizzazione della maternità surrogata e programmi per l’eguaglianza Lgbt si schierano Socialisti, Ciudadanos e Podemos, mentre contro ci sono i Popolari e soprattutto Vox, che mira anche a ripristinare la piena protezione del diritto alla vita dal concepimento alla morte, a tutelare le famiglie numerose e ad eliminare le quote rosa. Sull’economia, a favore di meno tasse, abolizione della tassa sull’eredità e sgravi speciali per i lavoratori autonomi si schierano Popolari, Vox e Ciudadanos. Mentre Socialisti e soprattutto Podemos vogliono una tassazione punitiva per le grandi imprese, extra-tutele per i lavoratori e salario minimo garantito. Infine, sull’immigrazione, i duri sono Popolari e Vox, mentre gli accoglienti sono Socialisti, Ciudadanos e Podemos.

Appare dunque evidente, già dai programmi, la difficoltà di creare una coalizione stabile. Il risultato complica ulteriormente le cose. Perché, appunto, i Socialisti hanno vinto, ma con poco meno del 29% non possono formare un governo da soli. Devono dunque scegliere con chi allearsi: Ciudadanos (15,9%) o Podemos (14,3%)?

Se dovesse optare per una maggiore stabilità istituzionale, Sanchez potrebbe tendere la mano al partito Ciudadanos di Albert Rivera, il più grande dei partiti minori, che pure ha fatto una campagna molto ostile ai Socialisti. Con Ciudadanos in squadra, Sanchez potrebbe concentrarsi maggiormente su ciò su cui sono d’accordo: i “nuovi diritti”, inclusa la maternità surrogata. Ma dovrebbe accettare un programma economico molto più liberale e soprattutto una visione centralista della Spagna, che escluda ogni indipendentismo in Catalogna.

Podemos potrebbe essere una scelta più coerente per Sanchez, che finora ha condotto politiche più di sinistra. Sui temi fondamentali si trova sulla stessa sponda. Allearsi con Podemos, per Sanchez, vuol dire anche riaprire la questione catalana. Non solo: partiti indipendentisti, come la Sinistra Repubblicana della Catalogna potrebbero essere cooptati al governo e far da ago della bilancia in questa maggioranza risicata. L’alleanza fra Socialisti e Podemos, più eventuali indipendentisti catalani, appare per ora lo sviluppo più probabile. Quel che ci si attende da una coalizione di questo tipo è: ulteriore secolarizzazione della Spagna e accettazione dell’agenda dei “nuovi diritti” sessuali (inclusa maternità surrogata), una politica economica marcatamente socialista (tasse più alte, salario minimo, tutele rigide sul lavoro), porte aperte all’immigrazione e una riapertura della questione catalana, o con un rinnovato dialogo centro-regione sull’autonomia, o anche con un referendum che ne ridefinisca lo status. All’opposizione, Vox scalda già i motori.