Sorpresa, la Turchia attacca i ribelli siriani
Dopo aver sostenuto in tutti i modi i miliziani anti-Assad, il governo di Ankara scopre ora i pericoli di un abbraccio mortale con al-Qaeda e rivolge contro loro l'artiglieria. Chiuse anche le frontiere. E, da Damasco, Assad si gode lo spettacolo.
La Turchia è quasi in guerra contro i nemici del regime siriano di Bashar Assad. Non è il titolo di una storia di fanta-guerra ma quello che sta accadendo da alcuni giorni lungo il confine turco-siriano. Le milizie quaediste dello Stato Islamico di Iraq e Siria (Siis), le stesse che si distinguono nel rogo di chiese e libri cristiani come nella persecuzioni di tutti i “non sunniti” (ma se la prendono anche con i curdi che pure sono sunniti), vengono colpite dalle artiglierie turche. Gli scontri sono iniziati il 17 ottobre quando le forze armate di Ankara hanno risposto a un colpo di mortaio esploso sul lato siriano del confine dai miliziani. Da allora le scaramucce sono continuate nella zona di Azaz, la cittadina siriana situata a 5 chilometri dal confine e strappata in settembre dai qaedisti alle forze dell’Esercito Siriano Libero.
Ankara aveva già dato il via, all’inizio di ottobre, alla costruzione di un “muro” alto due metri e lungo circa 10 chilometri sul confine con la Siria per evitare infiltrazioni di contrabbandieri e miliziani nella zona di Nusybin, una decina di chilometri a nord della città siriana di Qamishli, capoluogo della regione abitata prevalentemente da curdi-siriani impegnati nei combattimenti contro i qaedisti. Negli ultimi mesi lungo i circa 900 chilometri di confine fra Siria e Turchia ci sono stati frequenti incidenti fra le forze di Ankara e miliziani impegnati anche nelle lucrose attività di contrabbando.
La Turchia si trova quindi a fare i conti con il “riflusso” di quell’azione di infiltrazione di miliziani e armi che il governo di Recep Tayyip Erdogan ha favorito fin dall’inizio della rivolta siriana consentendo il passaggio sul suo territorio di migliaia di volontari della jihad provenienti dall’Asia Centrale, dal Medio Oriente, dal Nord Africa e dall’Europa diretti ad alimentare le brigate che combattono il governo siriano. Il progressivo rafforzarsi delle milizie islamiste e dichiaratamente qaediste ha messo in allarme i servizi di sicurezza turchi anche se ormai è troppo tardi per “chiudere il cancello” soprattutto se si tiene conto che in Turchia sono presenti non meno di 600 mila profughi siriani, secondo alcune fonti addirittura un milione.
Quando a inizio ottobre il governo turco ha deciso di chiudere la frontiera in prossimità delle aree controllate dal Siis la riposta dei qaedisti non si è fatta attendere minacciando di colpire con attentati kamikaze Istanbul e Ankara se i valichi di Bab al-Hawa de Bab al-Salameh non saranno riaperti. Segno inequivocabile che ormai l’organizzazione logistica che dal territorio turco alimenta questi miliziani è ben strutturata e ramificata. Il Siis del resto ha già rivendicato l'attentato suicida di Reyhanli, la cittadina turca di confine dove nel maggio scorso due autobombe uccisero 53 civili ferendone 140. Il governo di Ankara all’epoca accusò estremisti turchi collegati all’intelligence di Damasco ma il “bluff” è stato smentito dagli stessi qaedisti consentendo all’opposizione turca di accusare Erdogan di aiutare al-Qaeda.
Il capo dell'opposizione Kemal Kilicdaroglu sostiene che per abbattere il regime di Assad il governo aiuta tutte le formazioni ribelli incluse le “filiali” di al-Qaeda in Siria, Fronte al Nusra e Siis. Secondo il leader del principale partito curdo siriano, il Pyd, Salih Muslim, il governo turco «attraverso i servizi segreti del Mit che rispondono solo al premier», ha aiutato i qaedisti in Siria anche contro i curdi. ''Abbiamo per vicini i tagliatori di teste'' di al-Qaeda, ha titolato il quotidiano di opposizione Sozcu la minaccia di un “nuovo Afghanistan” alle porte di casa. Uno scenario che è già realtà e che sembra preoccupare anche Washington.
Già in maggio, durante l’incontro tra Barack Obama ed Erdogan, la Casa Bianca aveva lamentato il libero passaggio di armi e miliziani qaedisti attraverso il territorio turco. Secondo il Wall Street Journal nel mirino degli statunitensi sarebbe soprattutto Hakan Fidan, dal 2010 a capo dei servizi segreti turchi del Milli Istihbarat Teskilati (Mit) e l’uomo che ha organizzato la rete di supporto ai ribelli siriani. Il governo di Ankara finora ha fatto quadrato respingendo le accuse e difendendo l’operato di Fidan ma in futuro la sua figura potrebbe diventare il capro espiatorio ideale, una sorta di “pedina sacrificabile” se il progressivo crollo di rappresentatività dei ribelli “moderati” dell’Els favorisse il deflagrare di un conflitto aperto tra Turchia e al-Qaeda.
L’unico a trarre profitto dall’attuale situazione (oltre ai qaedisti) sembra essere Bashar Assad che aveva più volte avvertito l’ex amico Erdogan che avrebbe “pagato caro l'appoggio ai terroristi" perché “non è possibile usare il terrorismo come una carta da gioco, che poi rimetti in tasca”. Del resto il dittatore siriano sa di cosa parla. Negli anni scorsi favorì il passaggio sul territorio siriano dei miliziani qaedisti che andavano a combattere in Iraq contro il governo di Baghdad e i militari statunitensi e oggi deve affrontare la stessa minaccia.