Sorpresa, alla first lady non piace la "buona" scuola
L’hanno chiamata “Buona Scuola” forse perché sanare situazioni precarie è cosa buona e giusta. Non la pensa così la moglie del premier, Agnese Landini, rimasta in fila per ore davanti a un liceo di Scandicci. tanto che la première dame ha sbottato: «Spero che questo rito penoso finisca. É umiliante».
Perché la sistemazione di decine di migliaia di precari finalmente in cattedra viene chiamata “Buona Scuola”? Boh, misteri della “comunicazione” politica. Infatti, la scuola italiana, finché resterà napoleonica (cioè, giacobin-statale), non potrà mai competere con quelle estere e gli italiani più svegli e creativi dovranno continuare a emigrare per affermarsi. Cioè, quelli che sono riusciti a sopravvivere all’appiattimento al ribasso della pressa scolastica nazionale. Comunque, si tratta di centomila posti di lavoro, e non si dica più che il governo Renzi non fa nulla per l’occupazione.
Certo, è un’occupazione alla greca, cioè statale, improduttiva per definizione. Di quelle che, dopo il brindisi con gli amici per l’euforia del finalmente ottenuto posto fisso, produce il mugugno per il basso compenso. Già, perché tutta ‘sta gran massa di “operatori” laureati costa un sacco di soldi allo Stato (cioè, al contribuente), ma proprio per la sua natura di turba ingens la fetta procapite della torta è misera. Gli insegnanti vanno pagati da laureati. Ma, siccome sono tanti, sono, tra i laureati, quelli che guadagnano meno. Infatti, il mugugno dell’indomani già si è visto fin dal giorno prima: molti non vogliono accettare posti di lavoro dall’altra parte del Paese. Ed è inutile biasimarli perché fanno i difficili. Si sono fatti due conti in tasca. Trasferendosi, tre quarti dello scarso stipendio se ne andrebbe per l’affitto di casa. L’Italia è una penisola stretta e lunga: il freddo al Nord è più acuto e dura più a lungo di quello al Sud, con ricaduta sulla bolletta-riscaldamento. Anche il mangiare è più costoso. Non si può contare sui parenti per badare ai bambini e in caso di assistenza per malattia (al paesello, se hai la febbre trovi sempre un cugino che vada per te in farmacia).
E si potrebbe continuare. Particolare non secondario, ma verificato di persona: al Sud un professore conserva ancora un minimo di status sociale; al Nord, invece, se non hai gli sghèi non sei nessuno. Ma vabbe’, intanto teniamoci il presente (si incoraggia il neoassunto), domani è un altro giorno. In effetti, sanare situazioni precarie è cosa buona e giusta. Anche perché molti dei sanati hanno ormai un’esperienza professionale acquisita sul campo da lunga pezza ed è corretto riconoscergliela. Lo sa, e sulla propria pelle (come si diceva prima che langue de bois fosse sostituita dagli eufemismi p.c.), lo stesso premier, la cui moglie, Agnese Landini nei Renzi (come dicono in Toscana), in data 8 settembre 2015 era in fila mattutina davanti a un liceo di Scandicci (Fi) insieme a (come si è letto sui giornali) centinaia di insegnanti precari in attesa delle assegnazioni delle cattedre annuali. L’attesa, per forza di numero, si è protratta per l’intera giornata e la première dame ha sbottato: «Spero che questo rito penoso finisca. É umiliante. Sembra che chiediamo l’elemosina, invece siamo professionisti».
Parole sante. Per giunta, dette dalla consorte del prime minister, lodevolmente immersa nel popolo a subire lo stesso trattamento della cosiddetta gente comune. Bene, è un bell’esempio: i vertici devono sapere quant’è duro calle fare la fila per un posto di lavoro. La first sciùra, alla fine della fiera, si è dichiarata «contenta», perché ha ottenuto la cattedra a Pontassieve, cioè sotto casa, riconfermata nel posto che già occupava. Ora, non vogliamo certo fare i moralisti, ma la domanda urge: e se la cattedra gliel’avessero data non sotto, ma molto lontano da casa? È vero, con quello che guadagna il marito e provenendo da famiglie –la sua e quella di lui- benestanti, può permettersi di andare a insegnare anche a molte leghe di distanza. Tuttavia, visto che ci siamo, proprio per questo può permettersi anche di non lavorare, lasciando il posto libero a qualcuno che ha magari davvero bisogno.
Guardate, ripeto che non sto facendo il moralista: mormorazioni del genere le ho sentite con le mie orecchie quando facevo lo stesso mestiere. E di certo arriveranno –se non sono già arrivate- anche alle orecchie della professoressa Landini. Oh, è possibile che la sua sia una vera passione, chi lo nega? È pur vero che detta passione può esercitarsi anche al di fuori delle graduatorie ministeriali, ovvero gratis et amore Dei. E lo sa il Cielo se c’è bisogno di insegnanti che insegnano per pura passione e non per lucro. Sia come sia, è un bel dilemma: se si desse alle serate di beneficenza o ai salotti culturali l’Agnese verrebbe criticata perché «non sa che cosa vuol dire lavorare»; se lavora come i comuni mortali, viene criticata perché toglie il pane di bocca a qualcun altro. Eh, dura la vita di una first lady…