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IL PAPA

«Sono venuto a pregare con i cattolici»

«Sono venuto, soprattutto, a pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del Paese». Così papa Francesco nel primo discorso in Myanmar. Incontro di 20 minuti con Aung San Suu Kyi.

Ecclesia 29_11_2017
Il Papa con Aung San Suu Kyi

«Grazie per essere venuto qui da noi», ha esordito in italiano la premio Nobel Aung San Suu Kyi quando ieri ha accolto Papa Francesco nel palazzo presidenziale del Myanmar a Nay Pyi Taw. Era l’incontro più atteso del viaggio apostolico che è in corso nell’ex Birmania e che proseguirà poi in Bangladesh, soprattutto per quello che rappresenta la leader democratica che oggi è consigliera di Stato e ministro degli Esteri di un governo che cerca con grandi difficoltà di affrancarsi da un regime militare che dura da decenni.

Il colloquio tra Francesco e la Suu Kyi è durato una ventina di minuti, sullo sfondo le oppressioni che il governo perpetra contro varie minoranze, tra cui quella più mediaticamente esposta dei musulmani Rohingya. Nell’unico discorso ufficiale di ieri, che ha seguito l’incontro privato con la Suu Kyi, il Papa si è rivolto alle autorità - oltre alla consigliera di Stato era presente il governo del Myanmar e il corpo diplomatico - senza mai nominare direttamente i Rohingya, come richiesto e suggerito.

Però il riferimento è stato piuttosto esplicito, quando Francesco ha ricordato alle autorità che «il futuro del Myanmar dev’essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo – nessuno escluso – di offrire il suo legittimo contributo al bene comune». 

Anche Suu Kyi nel suo saluto introduttivo ha indirettamente parlato della situazione dei Rohingya facendo riferimento alla regione nella quale vivono. «Tra le molte sfide che il nostro governo sta affrontando, la situazione nello stato Rakhine ha catturato con forza l’attenzione del mondo. Mentre affrontiamo questioni di lunga data a livello sociale, economico e politico, che hanno intaccato la fiducia e la comprensione, l’armonia e la cooperazione tra le diverse comunità di Rakhine, il sostegno del nostro popolo e dei buoni amici che desiderano solo vederci riuscire nei nostri sforzi, è stato inestimabile. Sua Santità, i doni di compassione e di incoraggiamento che ci porta saranno preziosi mentre facciamo tesoro delle vostre parole nel messaggio in occasione della cinquantesima Giornata Mondiale per la Pace, il 1° gennaio 2017».

Ma l’impegno della Suu Kyi nell’affrontare questa situazione è stato criticato a livello internazionale, e proprio ieri la municipalità di Oxford ha ritirato un premio, il “Freedom of the City”, concesso alla consigliera di Stato venti anni fa. A causa della sua «inazione di fronte all’oppressione della minoranza Rohingya». Anche le parole del Papa sono parse troppo soft per Human Rights Watch's Asia division e i rappresentanti della minoranza islamica.

Molti dimenticano che il Papa non è andato in Myanmar e Bangladesh con l’obiettivo esclusivamente politico di far da paciere. Lo ha detto lo stesso Francesco proprio nell’attacco del discorso di ieri: «Sono venuto, soprattutto, a pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del Paese». I cattolici nell’ex Birmania sono appena l’1% della popolazione, ma Francesco li ha ricordati anche in chiusura del discorso: «desidero incoraggiare i miei fratelli e sorelle cattolici a perseverare nella loro fede e a continuare a esprimere il proprio messaggio di riconciliazione e fraternità attraverso opere caritative e umanitarie, di cui tutta la società possa beneficiare. È mia speranza che, nella cooperazione rispettosa con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, essi contribuiscano ad aprire una nuova era di concordia e di progresso per i popoli di questa amata nazione».

L’entusiasmo di questa piccola Chiesa, raccontano le cronache di chi ha vissuto l’esperienza di quella realtà, è contagioso. Si tratta di uomini e donne che grazie alla Chiesa cattolica e alla conversione al Vangelo hanno potuto trovare libertà e un aiuto concreto per uscire dalla povertà e dall’analfabetismo.