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(DIS)EDUCAZIONE

Sono i genitori i primi da rieducare

I ragazzini distruggono la scuola, si filmano e si pubblicano in rete. Il preside li sospende. I genitori fanno causa alla scuola e la vincono. È vietato vietare, anche la devastazione. Non è una cosa nuova, è una moda che c'è dal '68.

Educazione 14_06_2014
Bullismo

Giustamente ci scandalizziamo quando la scuola statale scavalca i genitori e, senza nemmeno consultarli, propina ai loro figli iniziative Lgbt talvolta perfino pornografiche. Tuttavia, non si può nascondere che certi genitori non hanno alcuna attitudine a educare la prole e anche di questo bisognerà tenere conto. Non sono pochi, infatti, i casi in cui i genitori adiscono addirittura la magistratura se la scuola tocca loro, e a ragione, il pupo. Per esempio, a Garbagnate Milanese in gennaio un gruppo di undicenni ha letteralmente distrutto la classe durante il cambio dell’ora e, per giunta, ha filmato l’impresa mettendola in rete. Il consiglio di classe li ha sospesi per due giorni. A occhio e croce, una punizione leggera, visto che il consiglio non ha nemmeno preteso il risarcimento danni (che finiranno a carico del solito Pantalone).

Ma uno dei genitori implicati ha fatto ricorso nientemeno che al Tar, il quale gli ha dato ragione. Eggià: come si è permessa la scuola di sospendere mio figlio, povera creatura? I ragazzini, si sa, sono vivaci, bisogna lasciarli fare e, prima di ammonirli, occorre concordare la misura con la famiglia. Così, in succo, la sentenza. La quale dice, in linguaggio strettamente giuridico, che prima di procedere alla misura punitiva la scuola deve provvedere a contestare i fatti in dettaglio, onde permettere ai genitori del discolo di contro-contestare, presentare rilievi, obiettare. Roba da Perry Mason, insomma. E poco è importato al Tar che l’operato del pupo era in rete, a disposizione, non solo dei genitori, ma dell’universo mondo.

Vi sembra una novità? No, il tutto risale al Sessantotto, quando divenne vietato vietare. E genitori di oggi sono i figli di quei sessantottini. Mi si consenta un aneddoto personale, perché in gioventù ho fatto l’insegnante e il mutamento antropologico era già in atto. Si trattava di deliberare sull’ammissione agli esami di maturità di uno studente che nei precedenti anni scolastici era uso venire in classe solo una o due volte alla settimana ma, quando veniva, riusciva a strappare una risicata sufficienza. Decidemmo di non ammetterlo, perché secondo noi era tutto fuorché maturo. In piena estate (eravamo sparsi in ferie per il mondo) ci raggiunse la telefonata del preside: dovevamo presentarci a scuola l’indomani mattina perché quello (cioè i genitori, essendo minore) aveva fatto ricorso al Tar. Due giorni per controllare al dettaglio i registri dei cinque anni precedenti, da consegnare all’Avvocatura di Stato.

Finale: il Tar ci diede torto, quello fu ammesso d’ufficio agli esami e, con la solita risicata sufficienza, li passò pure. Così, la scuola non aveva insegnato che questo, a lui e a noi: farci furbi per non pagar dazio (a lui per il passato, a noi per il futuro). I genitori dei sospesi di Garbagnate avrebbero dimostrato egual solerzia giudiziaria se la scuola avesse sottoposto i loro pargoli a iniziative di rieducazione Lgbt senza preventivamente informarli? Non lo so e non lo voglio sapere. È tempo, comunque, che i cattolici si facciano le loro scuole e mandino lì i loro figli. Lo Stato si tenga le sue, con i suoi esperimenti didattici e i suoi genitori politicamente corretti. È vero, i cattolici italiani, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, hanno votato in massa per la sinistra, scambiando l’attuale premier per uno di loro. Ma il divario tra il cattolicesimo e il «mondo» ha già superato il punto di non ritorno, prima se ne prenderà atto e meglio sarà.