Sono beati i 7 vescovi rumeni martiri del comunismo
Nell’ultimo giorno del viaggio apostolico in Romania, il Papa beatifica 7 vescovi uccisi dal regime comunista. Bergoglio spiega che anche oggi ci sono ideologie “ugualmente atee” che disprezzano vita, matrimonio e famiglia. E poi chiede perdono, a nome di tutti i cattolici, per le discriminazioni subite dai rom.
L’1 dicembre del 1948, con un decreto governativo, il regime comunista sopprimeva la Chiesa cattolica di rito bizantino. Poco tempo prima, Nicolae Balan, metropolita ortodosso di Sibiu, si era rivolto ai fedeli greco-cattolici per chiedere loro di rompere la comunione con Roma. Lo fece parlando nel Campo della Libertà di Blaj, il cuore cattolico della Romania e fino ad allora sede di un'importante accademia teologica. Ieri, a più di 70 anni di distanza da quegli eventi che diedero il via alla persecuzione comunista contro la Chiesa cattolica in Romania, papa Francesco ha beatificato in quello stesso luogo sette vescovi vittime di quella dolorosa stagione, durata decenni: Vasile Aftenie, Valeriu Traian Frenţiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Ioan Bălan, Alexandru Rusu, e il cardinale Iuliu Hossu.
Durante gli anni dell’ateismo di Stato, nonostante repressione e confische, la Chiesa greco-cattolica è riuscita a sopravvivere in clandestinità anche grazie all’esempio offerto da questi martiri. Nell’omelia pronunciata nel corso della Divina Liturgia, il papa ha ricordato come, “di fronte alla feroce oppressione del regime, essi dimostrarono una fede e un amore esemplari per il loro popolo”. “Con grande coraggio e fortezza interiore - ha detto Bergoglio - accettarono di essere sottoposti alla dura carcerazione e ad ogni genere di maltrattamenti, pur di non rinnegare l’appartenenza alla loro amata Chiesa”.
Secondo Francesco, l’eredità lasciata da questi Pastori al loro popolo si potrebbe racchiudere in due parole: libertà e misericordia. La prima, dimostrata dai sette vescovi, ora beati, con l’opposizione senza compromessi a “un sistema ideologico illiberale e coercitivo dei diritti fondamentali della persona umana”. La seconda, invece, di cui hanno dato prova nei confronti dei loro stessi persecutori e che, secondo il papa, costituisce “un invito a tutti a vincere il rancore con la carità e il perdono, vivendo con coerenza e coraggio la fede cristiana”.
Il regime comunista che ha imprigionato per decenni il popolo romeno è crollato, ma non è venuto meno il pericolo del ritorno di ideologie pericolose. Come ha commentato il papa nella sua omelia, “anche oggi riappaiono nuove ideologie che, in maniera sottile, cercano di imporsi e di sradicare la nostra gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose”. Francesco le ha definite “colonizzazioni ideologiche” che “disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere”.
Poi, di nuovo, il papa ha puntato l’indice contro chi crea “paura e divisione” e a cui bisogna rispondere “facendo prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni, incrementando la fraternità del sangue, che trova la sua origine nel periodo di sofferenza nel quale i cristiani, divisi nel corso della storia, si sono scoperti più vicini e solidali”.
Prima di ripartire per Roma, il papa ha voluto incontrare la comunità rom del quartiere Lautaro di Blaj, alla quale ha ribadito la sua convinzione sulla Chiesa concepita come “luogo di incontro [...], non come un bello slogan ma come parte della carta d’identità del nostro essere cristiani”.
Nel suo discorso, Bergoglio ha chiesto perdono ai rom: “Nel cuore porto però un peso, è il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”. Una richiesta di perdono pronunciata a nome dei cattolici che - ha sostenuto Francesco - nel corso della storia non sono stati estranei a “tanto male”. “Chiedo perdono in nome della Chiesa al Signore e a voi”, ha continuato il papa, rafforzando il concetto, “per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità”. Colpevoli, dunque, di “giudicare in maniera avventata con parole che feriscono, con atteggiamenti che seminano odio e creano distanze”. Quando questo avviene, ha detto il papa, non si è fino in fondo cristiani, e nemmeno umani “se non sappiamo vedere la persona prima delle sue azioni, prima dei nostri giudizi e pregiudizi”.
Bergoglio ha poi elogiato quelle che ha definito le specifiche caratteristiche del popolo rom, esortandolo a non avere paura di condividerle: “Il valore della vita e della famiglia in senso allargato; la solidarietà, l’ospitalità, l’aiuto, il sostegno e la difesa dei più deboli all’interno della loro comunità; la valorizzazione e il rispetto degli anziani; il senso religioso della vita, la spontaneità e la gioia di vivere”. Grazie a questa condivisione, questo “camminare insieme”, il popolo rom - secondo Francesco - può svolgere un ruolo nella “costruzione di un mondo più umano andando oltre le paure e i sospetti, lasciando cadere le barriere che ci separano dagli altri alimentando la fiducia reciproca nella paziente e mai vana ricerca di fraternità”.
Dopo questo incontro, c’è stata la cerimonia di congedo all’aeroporto di Sibiu e il papa ha salutato la Romania, mettendo fine al XXX viaggio apostolico del suo pontificato.