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NUOVI LEADER

Solo populismo? No, risentimento anti-giacobino

Che cosa sta succedendo dalle Filippine all'America? Avanzano gli "impresentabili", ostracizzati da media e politica. Eppure la gente li vota. Il sentimento diffuso è quello del risentimento contro i nipotini dei Giacobini, che finora hanno dominato a destra e a sinistra. Lasciando una devastante eredità.

Editoriali 05_11_2016
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Un’ondata di risentimento anti-giacobino evidente, anche se inconsapevole, sta percorrendo il mondo. Nei più diversi angoli del globo si moltiplicano le vittorie elettorali di nuovi leader o dichiarati “impresentabili” dall’ordine costituito politico e mediatico o del tutto nuovi alla politica, ma ciononostante preferiti dalla grande maggioranza degli elettori.

Agli opposti estremi della Terra nello scorso maggio ciò è accaduto ad esempio nelle Filippine con l’elezione a presidente di Rodrigo Duterte, e nello scorso giugno in Islanda con l’elezione a presidente di Guðni Th. Jóhannesson. Negli Stati Uniti, ossia al centro della scena internazionale, un sintomo imponente del medesimo fenomeno è il crescente successo del candidato presidenziale Donald Trump, affermatosi malgrado l’opposizione, non solo di larga parte della stampa, ma anche degli stessi maggiorenti del partito per cui si candida.  Oggi non sappiamo ancora se giungerà infine alla presidenza, ma pure se ciò non fosse i traguardi che ha sin qui oltrepassato sono già straordinari. E’ poi del medesimo segno anche la vittoria del “no” al referendum popolare dello scorso 23 giugno per la permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Un “no” che ha prevalso benché per il “sì” fosse schierato l’intero ordine costituito, non solo britannico, ma internazionale, presidente Obama compreso. 

Questo non significa beninteso che questi nuovi leader siano perciò stesso delle personalità sacrosante. Clamoroso è il caso in particolare del nuovo presidente filippino. Tuttavia è significativo che gli elettori non esitino a preferirli non perché ignari dei loro lati oscuri ma perché convinti che quanto hanno di meglio sia più importante di quanto hanno di peggio. Dilaga così con sempre maggior forza quella che ci sembra appunto giusto definire un’ondata di risentimento anti-giacobino. E’ una definizione che potrebbe sembrare un po’ astrusa visto che i giacobini appartengono alla storia della Rivoluzione francese, ossia a una vicenda di oltre due secoli fa. Invece in sostanza è proprio così, tanto forte è stato fino ad oggi l’influsso della loro esperienza e della loro cultura. Tutto il progressismo autoritario parte da lì: in tutte e due le sue versioni di destra e di sinistra, nelle loro rispettive pur varie gradazioni, fino ad arrivare oggi: nel nostro caso italiano fino a Grillo da una parte e a Renzi dall’altra. Il fenomeno è peraltro ben più che italiano e ben più che europeo. Di pari passo con l’estendersi dell’influsso occidentale sul resto del mondo ha raggiunto ogni angolo della terra. Perciò anche la reazione che sta provocando è planetaria.

Chi come noi è convinto che quella giacobina sia una pessima eredità, e quindi vede di buon occhio che cominci a diventare insopportabile, non ha tuttavia motivo di accogliere tali sviluppi con gioia incondizionata. Nell’ondata di risentimento di cui dicevamo non c’è solo del buono; ci sono anche tanti rottami, tante cose vecchie, inique e insostenibili la cui persistenza a suo tempo diede buoni motivi immediati sia alle rivoluzioni dei secoli XVIII–XX e sia a meno sanguinarie ma pur devastanti rivolte come quella del ’68 con tutto ciò che ne seguì. Nel momento in cui la stagione post-giacobina sta per finire, diventa perciò molto importante non limitarsi a seguire quell’onda, ma vivere e proporre esperienze rinnovate e purificate da qualsiasi nostalgia. Ciò implica per la gente di fede una responsabilità tutta particolare. Si tratta non di tornare indietro ma di andare avanti lavorando sul grande patrimonio di esperienze e di pensiero che, come acqua sotto i massi, ha percorso la storia dei secoli XIX e XX dominati delle culture che ci hanno portato alla crisi in cui siamo oggi. 

E’ questo un momento in cui tipicamente la politica e ogni altro genere di militanza vengono dopo. Beninteso, un “dopo” che il realismo impone sia logico più che cronologico. Occorre ricostituire le scorte di quel combustibile di esperienze e di idee di cui la politica ha bisogno, ma che non è in grado di produrre. E ciò vale, malgrado ogni urgenza, anche per la politica economica se è vero come è vero che la crisi internazionale nella quale ci troviamo è crisi culturale assai prima che crisi economica. In tale orizzonte è anche importante riscoprire il magistero papale non in modo difensivo ma come “miniera” di giudizi e di esperienze da rimettere in gioco nel presente in risposta alle domande sia di significato che di equità e di solidarietà sociale così come esse si pongono nel nuovo mondo globalizzato in cui viviamo.