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PAPA IN CALABRIA

«Solo la santità cambia il mondo»

La sfida del tempo, in un mondo che non ha tempo per Dio, al centro della visita del Papa in Calabria, tappa centrale la Certosa di Serra san Bruno.

Attualità 10_10_2011
certosa serra san bruno

Per la prima volta Benedetto XVI si è recato in Calabria, domenica 9 ottobre, visitando Lamezia Terme e la Certosa di Serra San Bruno. Il tema centrale del suo viaggio è stato il tempo: il mondo postmoderno che non ha più tempo per Dio e la testimonianza dei cristiani, dei santi, dei monaci che richiamano a impostare diversamente il rapporto con il tempo.

A Lamezia, il Papa ha celebrato la Messa nella zona industriale ex-Sir, commentando la parabola, tratta dal Vangelo della domenica, del banchetto di nozze cui molti sono invitati, ma non tutti accettano l'invito né a tutti è poi chiesto di rimanere. Anche la prima lettura, tratta dal libro di Isaia, prepara questo tema - ha detto il Pontefice -  perché parla del banchetto di Dio. È un’immagine - quella del banchetto - usata spesso nelle Scritture per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore, e lascia intuire qualcosa della festa di Dio con l’umanità. Così la descrive Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande... di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6).

Le immagini della Bibbia non sono mai casuali, e anche quella del banchetto così ricorrente nella Scrittura ha un significato profondo. In Isaia indica «che l’intenzione di Dio è di porre fine alla tristezza e alla vergogna; vuole che tutti gli uomini vivano felici nell’amore verso di Lui e nella comunione reciproca; il suo progetto allora è di eliminare la morte per sempre, di asciugare le lacrime su ogni volto, di far scomparire la condizione disonorevole del suo popolo, come abbiamo ascoltato (vv. 7-8)». Quando il popolo ebraico comprende l'immagine del banchetto, cioè la misericordia infinita di Dio, sorge un grido di «profonda gratitudine e speranza»:  «Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (v. 9).

Ma il progetto di Dio, se veramente deve comprendere la vittoria sulla morte, può trovare compimento solo in Gesù Cristo. Ora, «Gesù nel Vangelo ci parla della risposta che viene data all’invito di Dio - rappresentato da un re - a partecipare a questo suo banchetto (cfr Mt 22,1-14)». Tutto sembrerebbe dunque concludersi per il meglio. Ma, sorprendentemente, presso gli invitati «avviene qualcosa di inaspettato: si rifiutano di partecipare alla festa, hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano di disprezzare l’invito».

Non dobbiamo rischiare, ha detto il Papa, di lasciarci sfuggire l'importanza di questa descrizione paradossale, che è figura dell'intera condizione umana. «Dio è generoso verso di noi, ci offre la sua amicizia, i suoi doni, la sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più interesse per altre cose, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi». Alcuni rispondono che non hanno tempo per Dio, talora esprimendosi nella frenesia del loro rapporto distorto con il tempo perfino in maniera aggressiva e violenta.
Dunque, nella parabola inaspettatamente «l'invito del re incontra addirittura reazioni ostili, aggressive. Ma ciò non frena la sua generosità. Egli non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone. Il rifiuto dei primi invitati ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, anche ai più poveri, abbandonati e diseredati. I servi radunano tutti quelli che trovano, e la sala si riempie: la bontà del re non ha confini e a tutti è data la possibilità di rispondere alla sua chiamata».

Nel recente viaggio in Germania Benedetto XVI aveva messo in guardia contro un certo buonismo contemporaneo, il quale pensa che, comunque vada, alla fine Dio non darà molta importanza ai nostri peccati, che non sono poi così gravi. Anche a Lamezia mette in guardia contro una possibile interpretazione buonista della parabola. È vero, tutti sono invitati a entrare dal re, ma «c’è una condizione per restare a questo banchetto di nozze: indossare l’abito nuziale. Ed entrando nella sala, il re scorge qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene escluso dalla festa».

Anche questo è un passaggio importante della parabola, che non dobbiamo trascurare: «come mai questo commensale ha accettato l’invito del re, è entrato nella sala del banchetto, gli è stata aperta la porta, ma non ha messo l’abito nuziale?». Ma, anzitutto, «cos'è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno - ricorda il Papa - ho fatto riferimento a un bel commento di san Gregorio Magno [540 ca.-604] a questa parabola. Egli spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287)».

E san Gregorio dice qualcosa di più, aggiunge che  «questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288)». Dunque, sì, «tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto», ma  c'è una condizione per essere ammessi a restarci: «dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo», trovare davvero e sempre tempo per Dio.

Queste osservazioni, ha proseguito il Papa, potrebbero sembrare riferite solo alla vita spirituale, ma non è così. Dicono anche qualcosa di specifico, come a ogni situazione perché a tutte parla il Vangelo, alla Calabria, «una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra, cioè, dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza». «All’emergenza - ricorda il Papa - voi calabresi avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio».

E tuttavia qualche volta il pessimismo sembra prendere il sopravvento: sembra davvero che non ci sia più nulla da fare. Ma non è mai veramente così. «Non cedete mai - ha detto il Pontefice - alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione».

I sacerdoti, anche qui riprendendo spunti del viaggio in Germania, sono stati invitati a «radicare sempre più la vostra vita spirituale nel Vangelo, coltivando la vita interiore, un intenso rapporto con Dio e distaccandovi con decisione da una certa mentalità consumistica e mondana, che è una tentazione ricorrente nella realtà in cui viviamo».

Ai laici il Papa ha raccomandato lo studio della dottrina sociale della Chiesa e un impegno che non abbia «paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Avete tutti i motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e coraggiosi, e questo grazie alla luce della fede e alla forza della carità. E quando doveste incontrare l’opposizione del mondo, fate vostre le parole dell’Apostolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13)».
«Così - ha aggiunto il Pontefice -  si sono comportati i Santi e le Sante, fioriti, nel corso dei secoli, in tutta la Calabria». E all'Angelus a Lamezia ha aggiunto che «la fede dei Santi rinnova il mondo», così avviandosi al pellegrinaggio alla Certosa di San Bruno.

Alla rivendicazione del ruolo dei santi si è aggiunto, nell'incontro con la popolazione a Serra San Bruno, il fortissimo accento sul ruolo dei monasteri - che fu già tema centrale del viaggio in Francia nel 2008 - non solo come parte fondamentale delle radici cristiane dell'Europa ma per il compito che svolgono oggi. «I monasteri - ha detto Benedetto XVI -  hanno nel mondo una funzione molto preziosa, direi indispensabile. Se nel medioevo essi sono stati centri di bonifica dei territori paludosi, oggi servono a “bonificare” l’ambiente in un altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune». Per contrasto, «il monastero invece è modello di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostro tempo».

Un monastero certosino come quello di Serra San Bruno, ha detto il Papa in occasione dei Vespri con i monaci, nell'ambito del più vasto movimento monastico europeo ha una sua specificità. Certo, «ogni monastero – maschile o femminile – è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’“acqua viva” per la nostra sete più profonda. Ma la Certosa è un’oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno  [nato a Colonia nel 1030 e morto nel 1101 proprio a Serra San Bruno] e rimasta immutata nel corso dei secoli.  “Abito nel deserto con dei fratelli”, è la frase sintetica che scriveva il vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo, 4)».

La visita pontificia si pone «in continuità con alcuni segni di forte comunione tra la Sede Apostolica e l’Ordine Certosino», che il Pontefice ha elencato e che testimoniano «un legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa».  Non solo quella dei certosini è la storia di una speciale fedeltà ai Papi, ma lo stesso ministero dei Pontefici «trae dalle comunità contemplative una linfa spirituale che viene da Dio».
La Certosa di Serra San Bruno è nota a molti anche perché lì visse dom François de Sales Pollien (1853-1936), autore di opere famose anche in Italia come «Cristianesimo vissuto», nutrite di spiritualità certosina ma molto adatte ai laici moderni. Senza citare alcuno in particolare fra i molti autori spirituali certosini, il Papa ha così sintetizzato la spiritualità del loro Ordine:
«“Fugitiva relinquere et aeterna captare”: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità (cfr Lettera a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando tutto il resto, tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi afferrare dall’immenso amore di Dio per vivere solo di questo amore».

I certosini così hanno davvero «trovato il tesoro nascosto, la perla di grande valore (cfr Mt 13,44-46)». Sbaglierebbe di grosso, ha detto Benedetto XVI, chi pensasse che la lezione del modo di vita certosino non sia più attuale oggi. Al contrario, lo è più ancora che nel passato. «Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte».

E non è tutto. Riprendendo temi della sociologia contemporanea, ma anche del suo Magistero in tema di Internet, il Papa ha aggiunto che «negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei contesti urbani più sviluppati, ma oggi essa ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine».

È importate riflettere proprio a Serra San Bruno su «questa condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il carisma specifico della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, un dono che contiene un messaggio profondo per la nostra vita e per l’umanità intera. Lo riassumerei così: ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente “vuoto” cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile».

Certo, a rigore non c'è bisogno di ritirarsi in un monastero. Per chi sa vederlo, Dio  «è una presenza percepibile in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba, nelle pietre… Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto».  Eppure i monasteri hanno qualche cosa di particolare: «il monaco, lasciando tutto, per così dire “rischia”: si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo».

Basta allora salire a una Certosa per risolvere il dramma della società dell'effimero e delle immagini? No, certo: occorrono tempo e pazienza, sia per diventare monaci, sia per chi vuole farsi ispirare dai monaci per vivere in pienezza una diversa vocazione. «Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire qui per fare questo “salto”. Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione, trova risposta in un cammino, nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo come questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, “in una perseverante vigilanza divina – come affermava san Bruno – attendendo il ritorno del Signore per aprirgli immediatamente la porta” (Lettera a Rodolfo, 4)». Del resto, «proprio in questo consiste la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita».

La materia prima che rischia di mancare nel mondo postmoderno è proprio il tempo. Luoghi come le Certose sono lì per ricordarci che, se «in Cristo c’è il tutto, la pienezza, noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero». I monaci testimoniano  che un rapporto diverso con il tempo non è impossibile. «A volte, agli occhi del mondo, sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio, in quella Realtà essenziale e profonda che è Gesù Cristo».
Per la Chiesa come per il mondo i monaci rimangono indispensabili: «fanno scorrere nelle sue vene il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio». «Stat Crux dum volvitur orbis – ha detto il Papa ai certosini - così recita il vostro motto. La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele».

Come gli invitati al banchetto della parabola evocata a Lamezia Terme, così anche molti immersi nel cosiddetto tempo breve di oggi rispondono «Non ho tempo» alla chiamata del Signore. La giornata del Papa in Calabria viene a ricordarci che non si tratta tanto di giudicare l'inadeguatezza morale di questa risposta, ma di ricostruire con fede e fatica un diverso rapporto con il tempo.