Solo la comunione può salvare la democrazia
Un sistema democratico sganciato da valori assoluti diventa sempre più invadente nella vita del singolo. Occorrono nuove comunità «belle» la cui testimonianza non ha bisogno di essere dimostrata, ma mostrata.
Una riflessione che non si fermi agli aspetti superficiali della democrazia mostra come anche un sistema democratico che sia sganciato da valori assoluti diventi sempre più invadente nella vita della singola persona e come, in prospettiva, potrà essere consentito comportarsi male ma sarà sempre più difficile accordarsi per fare il bene.
Questa mentalità falsamente democratica penetra anche negli ambienti religiosi. Sull’ultimo numero di Studia Patavina, la rivista della Facoltà Teologica del Triveneto, leggevo un interessante articolo sulla fede dei giovani. Riassumendo, si diceva che i giovani oggi certamente vanno meno in chiesa, ma non vuol dire che siano meno religiosi. Al contrario: una volta andavano in chiesa per tradizione, oggi per convinzione. Secondo l’articolista, dunque, i giovani di oggi sono molto più vicini alla Chiesa di quanto noi pensiamo!
Su questo punto la mentalità bizantina orientale ci aiuta. La verità è sobornica, cioè comunionale. La tradizione è richiesta come metodo per conoscere il vero. La comunità non è ostacolo alla conoscenza personale, ma è un requisito necessario per non cadere nell’aseismo (la tendenza a centrare tutto su se stesso, ndr). Dice Florenskij: «La verità che si esprime diventa amore e l’amore fiorisce nella bellezza».
Nel ’68 non pochi giovani hanno abbandonato la fede per passare sul fronte della sinistra e poi sono finiti tutti in braccio alla borghesia. I falsi ideali, normalmente, si realizzano nell’opposto. Quello che bisogna riconoscere è che, comunque, si trattava di un ideale, sia pure illusorio.
Oggi normalmente i giovani non abbandonano la fede per un ideale alternativo e più affascinante, ma per il venir meno di qualsiasi attrattiva seria, per entrare “in letargo”. Chi pensa che “i giovani non vadano in chiesa perché la Chiesa è in ritardo di due secoli” crede che occorra inventare nuovi metodi per aggiornarsi ed attirare i giovani. In realtà è in ballo una mancanza di umanità e quindi quello che occorre fare è semplicemente richiamare la persona a quello che è per grazia: dimora di Dio, tabernacolo dell’Altissimo, unità con Cristo.
La crisi richiama ad un rapporto sempre più personale e più sobornico con Cristo e quindi con la Chiesa.
Il relativismo si accompagna sempre più al nichilismo. Come il relativismo è il frutto maturo di una pretesa autonomia che intende di comprendere tutto con la testa, così il nichilismo è il frutto maturo di un ottimismo senza fondamenti, illusorio.
Questa decaduta dal “futuro luminoso” (Lenin) al “presente oscuro” è evidente in Russia, ma non è estranea neppure all’Occidente. Anche da noi il relativismo si accompagna alla paura: è venuta meno la speranza. Il letargo che domina sovrano non è soltanto indifferenza a tutto e a tutti, ma è paura.
Questa paura che si diffonde è una provocazione della crisi. Una prospettiva positiva della vita è possibile a partire dal riconoscimento di una presenza che salva e porta a compimento, perché il cuore della vita è Cristo. «La vita è un paradiso, e le chiavi le abbiamo in mano noi».
La negatività sul valore della vita, della mia vita, nasce dalla negazione del fatto in cui Dio ha voluto esprimere la sua più profonda speranza: l’Incarnazione. «Ecco io sono con voi, tutti i giorni sino alla fine del mondo». Io sono con Cristo, legato a Lui, «respiro con lui» (S. Clemente d’Alessandria). «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Questa nuova identità mi apre a una positività ultima.
È una coscienza da educare e da sperimentare, imparando a stupire di fronte alla bellezza: «Le idee creano gli idoli, è lo stupore che ci fa capire» (S. Gregorio di Nissa).
La crisi può essere superata adeguatamente soltanto partendo dalla persona. Questa non è una ideologia che si oppone ad altre ideologie, ma è un’esperienza nuova ed antica, suggerita dalla storia sia personale che sociale.
Partire dalla persona non significa essere indifferenti al sociale.
Ho sempre nella mente la profezia di Toniolo che ho trovato ripetuta nei suoi scritti: «Alla fine del secolo XX l’ideologia marxista sarà tramontata per sempre e a salvare l’Europa non saranno dei santi, ma delle comunità di santi». Era un sociologo di altissima qualità (oltre ad essere un santo) ed affermava che il vero personalismo, che lui difendeva, non poteva fermarsi alla persona ma partiva dalla responsabilità della persona per fiorire in libere associazioni. Si opponeva, dunque, sia all’individualismo che allo statalismo: individualismo e statalismo che oggi fioriscono cordialmente insieme, per rendere sempre più ridicola la democrazia.
I movimenti di protesta, solitamente accompagnati dalla violenza non cambiano la società se non in peggio.
Occorrono movimenti di responsabilità, che sappiano creare una tradizione fondata sull’esperienza. Una tradizione radicata nella persona, che si scopre come unica ed irripetibile, ma nello stesso tempo ontologicamente dipendente dal comune destino che rende ogni persona parte (compartecipe) di ogni altra persona. Questa dipendenza oggettiva è il presupposto per essere autenticamente liberi e fecondi, per crescere riconoscendo nell’altro il mio stesso valore.
Questa è una legge naturale che con Cristo acquista una consistenza enorme: io ho bisogno di te perché in Cristo siamo un unico Corpo. «Non c’è né greco né giudeo, né uomo né donna, né schiavo né libero perché Cristo è tutto in tutti».
Questa misteriosa unità può salvare il supremo valore di ogni persona.
Il cristiano deve dire: io ho bisogno della Chiesa per vivere in pienezza la mia identità. Io ho bisogno di te per essere veramente io.
Dall’affermazione che «la verità si esprime in amore e l’amore fiorisce in bellezza» nasce l’urgenza che l’ideale sia testimoniato come una vita attraente ed umanamente piena. Occorrono nuove comunità «belle» la cui testimonianza non ha bisogno di essere dimostrata, ma mostrata, perché già vissuta.
* Padre Romano Scalfi è il fondatore (1957) del Centro Studi Russia Cristiana, che tra l'altro oggi edita la rivista La Nuova Europa.