Solo Assad riesce a respingere le milizie dell'Isis
A Palmira le truppe regolari siriane hanno respinto l'offensiva dell'Isis, mentre le forze della coalizione stavano a guardare. Dove, invece, a combattere sono i regolari iracheni sostenuti dalla Coalizione, l'Isis sfonda e prende Ramadi.
Se l'antica Palmira, con le sue suggestive rovine romane nel deserto, per il momento sembra essere riuscita a sfuggire alla furia iconoclasta delle milizie dello Stato Islamico il mondo deve ringraziare i soldati siriani, le truppe regolari di Bashar Assad.
Non certo la Coalizione internazionale che in Siria ha giocato un ruolo di rilievo solo durante l’assedio della città curda di Kobane e da allora più che combattere lo Stato Islamico sembra impegnata a far cadere il governo di Damasco. Difficile infatti non notare che sul fronte siriano sono presenti i jet delle monarchie sunnite del Golfo, ieri sponsor dell’ISIS e oggi dei movimenti islamisti (salafiti, qaedisti, Fratelli Musulmani) che combattono il regime sciita di Bashar Assad sostenuto solo da Iran e Russia.
A Palmira, l'esercito siriano è riuscito a respingere l'offensiva e le rovine del sito patrimonio dell'Unesco, come la via colonnata, l'arco di Settimio Severo e le terme di Diocleziano, sono intatte. Il timore era che Palmira, 240 chilometri a nord-est di Damasco e località strategica lungo l’autostrada che taglia il Paese da Homs a Deyr az Zor, potesse subire la sorte di altri siti storici devastati dalle milizie dello Stato islamico, come già accaduto in Iraq a Nimrud e Hatra.
Un timore in realtà non così radicato da indurre la Coalizione internazionale a intervenire. Non ci sono stati bombardamenti aerei alleati contro le postazioni dei jihadisti intorno al sito archeologico, raid che avrebbero certo aiutato le forze siriane, a conferma di quanto la “finta guerra” di arabi e occidentali contro l’ISIS in Siria miri in realtà a indebolire Damasco non certo gli islamisti.
La conferma che le antichità di Palmira sono state finora risparmiate è giunta anche dalla Direzione delle Antichità e dei musei della Siria ma negli scontri che si sono svolti intorno alla città sono morti una settantina di soldati siriani e quasi altrettanti miliziani mentre nei villaggi nei pressi di Palmira, dai quali l'esercito si era ritirato, i miliziani hanno massacrato 26 civili, decapitandone 10. Respinti in città, i miliziani dello Stato islamico si sono attestati poco a nord e ieri hanno bombardato con razzi Palmira uccidendo alcuni civili e prendendo il controllo di due giacimenti di gas a nord-est del sito archeologico, ad Al-Hail e Arak, dove i cacciabombardieri di Damasco hanno compiuto numerosi raid.
Benché negli ultimi giorni siano state diffuse voci non confermate da Washington circa il grave ferimento del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi e dell’uccisione del suo braccio destro al-Afri e del suo ministro del petrolio Abu Sayyaf,lo Stato Islamico ha dimostrato di poter ancora combattere con determinazione e successo a quasi 10 mesi dall’intervento internazionale. Se a Palmira le truppe di Assad hanno respinto l’offensiva, a Ramadi, capoluogo della provincia irachena di al-Anbar, non è andata altrettanto bene alle truppe irachene. I jihadisti hanno preso, sabato, il controllo del centro sfondando le linee governative con ben 9 autobombe e occupando palazzi istituzionali e comando militare provincviale. La situazione è gravissima perché il tracollo delle forze irachene in questo settore aprirebbe ai jihadisti la strada per Baghdad. Per questo il premier iracheno, lo sciita Haidar al-Abadi, ha ordinato alle truppe di non ritirarsi inviando a rinforzo le stesse milizie sciite impiegate per liberare Tikrit, città natale di Saddam Hussein, dove si sono macchiate di gravi violenze nei confronti della popolazione sunnita.
L’intervento dei volontari delle milizie sciite gestite dall’organizzazione Badr rischia di infiammare ulteriormente le tensioni interconfessionali e di far aderire allo Stato Islamico anche le tribù sunnite che finora si erano ribellate al Califfato chiedendo inutilmente a Baghdad armi per combattere gli uomini dell’IS. Proprio le angherie degli sciiti hanno indotto l’anno scorso la gran parte delle tribù sunnite di al-Anbar e dell’intero nord ovest dell’Iraq a sostenere lo Stato Islamico.
Oltre a Ramadi, che Washington ritiene non sia ancora del tutto in mano all’IS, le truppe irachene sono state sconfitte anche a Fallujah dove hanno lasciato sul terreno 200 caduti e consentendo al Califfato di controllare la quasi totalità della provincia di al-Anbar che da sola copre poco meno di un terzo della superfice complessiva dell’Iraq tra i confini con Siria, Giordania e Arabia Saudita.
Il giorno prima della caduta di Ramadi, al-Baghdadi aveva esortato con un messaggio audio i suoi combattenti a non mollare proprio in quel settore. Nell’audio il ‘califfo’ afferma tra l’altro che l’islam “è una religione di guerra” e raccomanda “ai leoni del Califfato a Raqqa, Mosul, Aleppo e eroi dell’Islam” di essere “pazienti, determinati, e cauti perché i nemici di Allah si stanno mobilitando, crescono, e minacciano la gente di Mosul. Pensiamo che muoveranno prima verso Raqqa e Aleppo, poi Mosul. Siate cauti”. Il messaggio, che accenna ai principali teatri d’azione dell’IS, dallo Yemen alla Libia passando per Iraq e Siria, contiene minacce ai “crociati” e agli ebrei.