Sodoma "sovranista". Omoeresia e immigrazionismo riscrivono la Bibbia
Il volume della Pontifcia Accademia Biblica Che cosa è l’uomo? riserva una decina di pagine all'omosessualità, dalle quali traspare la narrazione che il peccato contro natura sia da derubricare. Vi si dice che la Bibbia non parla di inclinazione erotica "omo", ma è falso, basta leggere San Paolo. E soprattutto sostiene che Sodoma sarebbe stata distrutta non per gli atti omosessuali degli abitanti, ma per la loro mancanza di ospitalità. L’ossessione immigrazionista diventa criterio esegetico del testo sacro. Ma è una tesi da respingere. Anzitutto iniziando a leggere la Sacra Scrittura e non a interpretarla politicamente.
Una corposa e sistematica revisione della dottrina cattolica sull'omosessualità partendo da una lettura per lo meno parziale della Scrittura. E' quanto emerge dalla sezione dedicata ai rapporti tra persone dello stesso sesso contenuta nel libro Che cosa è l’uomo? redatto dalla Pontificia Accademia Biblica (PAB). Come già scritto il testo viene presentato (vedi qui) come una «lettura antropologica sistematica della Bibbia», commissionata «dal Papa in persona».
Indagheremo qui la sezione dedicata all’omosessualità che occupa circa lo spazio di dieci pagine.
Evidenziamo innanzitutto il seguente passaggio: «Va subito rilevato che la Bibbia non parla di inclinazione erotica verso una persona dello stesso sesso, ma solo degli atti omosessuali» (n. 185). Sul piano scritturistico si potrebbe però citare San Paolo: «Né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6, 10). Questa citazione si offre a due riflessioni.
La prima: per sodomiti Paolo potrebbe intendere sia coloro che compiono atti di sodomia, sia coloro vivono una condizione di omosessualità. Non si può escludere quindi che il testo si riferisca anche all’inclinazione omosessuale.
Seconda riflessione: i termini “effeminati” e “sodomiti” potrebbero sembrare una ripetizione per rafforzare il concetto che coloro che praticano atti omosessuali non «erediteranno il regno di Dio». Ma tale interpretazione difficilmente potrebbe essere accolta, dato che le altre categorie di persone elencate sono assai dissimili tra loro e non c’è traccia di ripetizioni. Dunque Paolo quando usa il termine “effeminati” e “sodomiti” si sta riferendo a due categorie morali differenti: gli effeminati potrebbero essere i transessuali oppure coloro che si comportano da “femmina”, ossia coloro che hanno un orientamento omosessuale (nulla vieta che nel medesimo termine confluiscano entrambi i significati); i sodomiti sono invece coloro che compiono atti omosessuali e, tra questi, anche coloro che non hanno una inclinazione omosessuale (assumono condotte omosessuali ad esempio per vizio). Da qui però un doveroso distinguo. La condizione omosessuale, come quella transessuale (entrambe sempre moralmente disordinate), può essere un habitus che la persona si trova a vivere senza sua colpa oppure può essere l’effetto di atti peccaminosi, ad esempio aver continuato nel tempo ad assumere condotte omosessuali, un effetto verso cui la persona sarà chiamata da Dio a rispondere. San Paolo, se la nostra esegesi fosse corretta, quando parla di effeminati, si riferirebbe a questa seconda ipotesi (sempre che non parli solo di transessuali): l’omosessualità quindi, in questi casi, rivelerebbe a monte scelte che non permettono di entrare nel regno dei Cieli.
Altra prova che anche l’omosessualità può essere condizione colpevole è data da quest’altro passo paolino: «Si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm 1, 27). Passo in cui gli atti ignominiosi sono distinti concettualmente dalle passioni e dal traviamento che nel testo paiono potersi qualificare come condizioni meritevoli di punizione.
Torniamo al volume Che cosa è l’uomo?. Al n. 185 e al n. 195 si afferma che la condanna degli atti omosessuali compare poche volte nella Bibbia, quasi a dire che in fondo per Dio i peccati di omosessualità siano questioni bagatellari. Limitatamente a questo aspetto di carattere quantitativo, ad essere coerenti con tale criterio dovremmo concludere che anche il comando di amare il prossimo tuo sia di poco conto, dato che, come riportano i sinottici, Gesù ha espresso questo comando una volta sola. Anche nel nostro codice penale all’omicidio è dedicato un solo articolo. Ma quello basta e avanza. Così è sufficiente una sola parola di Dio per vietare una certa condotta per concludere che è per l’appunto vietata. Il criterio della qualità vince su quello della quantità. Inoltre c’è da aggiungere che il divieto di peccati più generali includono spesso quelli più specifici. E così il sesto comandamento include anche gli atti omosessuali.
Nel n. 186 si ammette che uno dei peccati commessi a Sodoma era legato all’omosessualità. Ma il castigo di Dio pare scagliarsi contro gli abitanti di questa cittadina non perché rei anche di condotte omosessuali, ma perché poco accoglienti verso lo straniero. L’ossessione immigrazionista diventa criterio esegetico del testo sacro. Infatti nel racconto biblico si narra che due stranieri, in realtà due angeli, vengono in città e rischiano di essere brutalizzati. Secondo la PAB in Genesi 19, 1-29 non si condanno gli atti omosessuali in quanto tali, «viene piuttosto denunciata la condotta di un’entità sociale e politica che non vuole accogliere con rispetto lo straniero, e pretende perciò di umiliarlo, costringendolo con la forza a subire un infamante trattamento di sottomissione». Stesso concetto ribadito nel n. 188: «In conclusione, dobbiamo dunque dire che il racconto riguardante la città di Sodoma (così come quello di Gabaa) illustra un peccato che consiste nella mancanza di ospitalità, con ostilità e violenza nei confronti del forestiero, comportamento giudicato gravissimo e meritevole perciò di essere sanzionato con la massima severità, perché il rifiuto del diverso, dello straniero bisognoso e indifeso, è principio di disgregazione sociale, avendo in se stesso una violenza mortifera che merita una pena adeguata». Un caso di porti chiusi ante litteram che merita la pena di morte.
Dunque, a leggere quanto scritto dalla PAB, pare concludersi che, innanzitutto, se lo straniero fosse stato consenziente, nulla quaestio sull’omosessualità. In secondo luogo l’omosessualità da condannare è quella che appalesa non una disordinata inclinazione sessuale, bensì un desiderio di prevaricazione, di non inclusività. C’è invece da sottolineare che, in prima battuta appare curioso che, anche se fosse stata questa l’intenzione degli assalitori, dare cioè una bella lezione agli stranieri, costoro avessero scelto la sodomia come modalità per aggredire gli stranieri e non cazzotti e bastoni. Forse perché gli assalitori erano già avvezzi per conto loro a queste pratiche?
Inoltre, qualora i violentatori fossero stati animati realmente da tali intenzioni (ma il testo in sé rimane oscuro sulle reali motivazioni che muovevano alla sodomia), la corretta ricostruzione sotto il profilo morale dell’accaduto che ci si aspettava dalla PAB sarebbe dovuta essere la seguente: al disordine oggettivo dell’atto omosessuale si sarebbe sommato il fine malvagio di non accogliere lo straniero o, più correttamente, l’atto materiale disordinato omosessuale sarebbe stato informato da un fine illecito che nulla aveva a che fare con l’aspetto erotico, ma che riguardava l’odio verso il forestiero.
Detto tutto ciò, centriamo il punto essenziale della esegesi biblica offerta dalla Pontificia Accademia sul caso Sodoma: per la PAB Sodoma è stata rasa al suolo solo per motivi xenofobi. Ma la presunta intenzione xenofoba di coloro che volevano sodomizzare i due stranieri non è assolutamente attribuibile agli altri abitanti di Sodoma che infatti avevano rapporti omosessuali tra loro e non con i forestieri.
Per la PAB invece non è così perché il peccato di Sodoma è solo il peccato di quei pochi "sovranisti" che volevano abusare dei due stranieri. Infatti la PAB si spinge a dire che «il racconto tuttavia non intende presentare l’immagine di una intera città dominata da brame incontenibili di natura omosessuale» (n. 187). Vero, se ci riferiamo unicamente al brano di Genesi 19, 1-19, falso se andiamo a leggere il capitolo precedente in cui scopriamo che a Sodoma non esistevano nemmeno dieci giusti, perché se fossero esistiti, come è noto, Dio non avrebbe raso al suolo la cittadina (Gn 18, 32). E la decisione di Dio di distruggere la città avviene prima che alcuni tentassero di sodomizzare gli stranieri, dunque l’ostilità verso lo straniero non era il motivo principale della punizione divina. Perciò la città era sì dominata da brame incontenibili di natura omosessuale. Il fatto poi che una intera città era dedita al vizio omosessuale è testimoniato altresì da questo brano del Nuovo Testamento: «Così Sòdoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all'impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno» (Gd, 7). Perciò, contrariamente a quanto espresso nel volume della PAB, la condanna divina riguarda anche e soprattutto l’omosessualità intesa come disordine dell’orientamento sessuale e si riferisce ad una intera collettività.
E nonostante Dio abbia sterminato l’intera popolazione di Sodoma e Gomorra la PAB riesce a dire che «non troviamo nella tradizioni narrative della Bibbia indicazioni concernenti pratiche omosessuali, né come comportamenti da biasimare, né come atteggiamenti tollerati o accolti con favore» (n. 188). Dunque secondo la PAB, dato che gli atti omosessuali condannati nella Bibbia sono riprovati solo quando manifestano atteggiamenti persecutori nei confronti del diverso, le rimanenti condotte omosessuali assunte non per motivi xenofobi sono moralmente neutre agli occhi Dio, né da condannare, né da tollerare, né da approvare.
Poi la PAB, forse furbescamente, intuisce che è bene dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte e quindi cita il capitolo 18 del Levitico in cui si condanna chiaramente l’omosessualità in quanto pratica erotica, avulsa da fini politici (n. 189). Parimenti non cerca virtuosismi acrobatici per far dire a San Paolo, che condanna l’omosessualità in modo chiaro in Rm 1, 26-27, in 1 Cor 6, 9 e in 1 Tm 1, 10, ciò che non vuole dire. Però, altro colpo al cerchio, contestualizza le parole di San Paolo e quelle degli autori del Vecchio Testamento e quindi le depotenzia, anzi le squalifica facendole perdere di valore: «Certe formulazioni degli autori biblici, come anche le direttive disciplinari del Levitico, richiedono una intelligente interpretazione che salvaguardi i valori che il testo sacro intende promuovere, evitando quindi di ripetere alla lettera ciò che porta con sé anche tratti culturali di quel tempo» (n. 195). Tradotto: il divieto letterale delle pratiche omosessuali significa prendere troppo alla lettera il testo biblico. Inoltre la condanna dell’omosessualità presente nella Bibbia risente dei condizionamenti dell’epoca e perciò è un parere personalissimo di Paolo e degli altri autori biblici, ma non riflette il pensiero di Dio. E come facciamo a scoprire allora il pensiero di Dio? Occorre rivolgersi non di certo alla Sacra Scrittura, bensì alle scienze umane: «Il contributo fornito dalle scienze umane, assieme alla riflessione di teologi e moralisti, sarà indispensabile per una adeguata esposizione della problematica». (n. 195).
In breve il fine della PAB relativamente al tema dell’omosessualità e delle condotte omosessuali pare essere quello né di condannare, né di benedire, ma di posizionarsi in una zona di giudizio colpevolmente neutra.