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I Papi e i libri di cucina/1

Sisto IV e Platina, incontro storico per la gastronomia

Lungo i secoli, diversi Pontefici hanno lasciato - chi più, chi meno - la loro impronta sull’arte e la letteratura culinaria. In particolare, Sisto IV finanziò il primo libro a stampa di gastronomia, il “De honesta voluptate et valetudine” scritto da Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che oltre a riportare ricette proprie tradusse in latino quelle di un grande cuoco del tempo: Maestro Martino.
LA RICETTA: POLLO ALLE ARANCE AMARE

Cultura 28_02_2021 English Español

I Pontefici sono dei monarchi e come tali, oltre a dirigere spiritualmente milioni di fedeli, hanno anche obblighi più “terreni”, come quello di accogliere gli ospiti alla propria tavola. Lungo i secoli, i Pontefici hanno impresso, chi più, chi meno, i loro marchi personali sulla gastronomia e sulla letteratura culinaria.

Oggi ci occupiamo di Sisto IV, che finanziò il primo libro a stampa di gastronomia (un incunabolo), pubblicato nel 1474 circa: “De honesta voluptate et valetudine”, di Bartolomeo Sacchi, detto Platina. Ma vale forse la pena di vedere, a grandi linee, come un Pontefice sia arrivato a rendere possibile la pubblicazione di un trattato di cucina.

Nato a Celle Ligure nel 1414 con il nome di Francesco della Rovere in una famiglia di piccola nobiltà, entrò nell’Ordine dei frati minori conventuali (francescani) molto giovane - a nove anni - per volontà della madre. Studiò con profitto nel convento francescano di Savona, a 15 anni pronunciò i voti e sette anni dopo, nel 1435, andò a studiare teologia all’Università di Bologna. Dimostrò grandi doti intellettuali e, una volta ottenuto il dottorato in teologia, insegnò nelle grandi università del suo tempo: Bologna, Siena, Padova, Firenze, Pavia.

Oltre alla carriera accademica, frate Francesco ascese di grado all’interno della gerarchia dell’Ordine francescano: nominato prima ministro della Provincia francescana della Liguria (1460), diventò poi ministro generale dei francescani a Perugia il 19 maggio 1464. Gestì l’incarico con dedizione e fermezza d’animo, mantenendolo fino al 1469 in occasione del capitolo generale che si tenne a Venezia, riuscendo ad eliminare gli individui indegni e cercando di ripristinare la moralità nei vari monasteri. Per tale attività indefessa, papa Paolo II lo premiò creandolo cardinale, il 18 settembre 1467.

Quattro anni dopo lo ritroviamo al soglio pontificio: dopo la morte di Paolo II, Francesco della Rovere fu infatti eletto papa all’unanimità, il 9 agosto 1471, da 18 cardinali riuniti in Conclave.

Come Papa, fu alla base di molte cose notevoli, materiali e spirituali: favorì la devozione mariana, celebrò il Giubileo del 1475, appoggiò due grandi crociate contro l’Impero Ottomano, acconsentì e “corresse” l’Inquisizione spagnola, alla cui guida confermò il cardinale Torquemada, finanziò diverse costruzioni ed edifici (fra cui la Cappella Sistina), facendo passare Roma dall’edilizia medievale a quella rinascimentale, ma soprattutto - e questo è l’aspetto che a noi interessa di più - ridiede ossigeno all’umanesimo in tutte le sue forme.

L’incontro con Bartolomeo Sacchi (1421-1481) lo portò a riorganizzare la Biblioteca Vaticana. Nominò Platina prefetto (momento immortalato da Melozzo da Forlì nello spettacolare dipinto del 1477 “Sisto IV nomina Platina prefetto della Biblioteca Vaticana”).

Il Platina aveva avuto cattivi rapporti con il pontefice precedente, Paolo II, che aveva abolito il corpo degli abbreviatori, di cui lui era il coordinatore. Volendo convincere il Pontefice a rivedere la sua decisione, il Platina gli scrisse una lettera nella quale difendeva con tutte le sue forze il mestiere di abbreviatore, ma il risultato ottenuto fu tutt’altro. Il Papa lo mandò in prigione e lo accusò di eresia.

Da prigioniero a Castel Sant’Angelo, il Platina incontrò il cardinale della Rovere, futuro Sisto IV, che un giorno visitava la prigione (come faceva con gli ospedali e altri luoghi di sofferenza umana). Quel primo incontro rimase nella memoria del cardinale che, una volta diventato Papa, mandò a chiamare Platina e gli affidò appunto la Biblioteca.

Il Platina redisse il primo catalogo ragionato della Biblioteca ed ebbe l’occasione di vedere e di toccare, uno ad uno, i manoscritti già raccolti da Niccolò V ma mai sistemati fino allora con ordine e logica. Fra le centinaia di manoscritti, uno in particolare attirò la sua attenzione: il ricettario in vernacolo del Maestro Martino, raffinato cuoco nato nel Ticino e passato al servizio di grandi personaggi del suo tempo (Francesco Sforza a Milano, il cardinale Ludovico Trevisan, patriarca di Aquileia, soprannominato “cardinal Lucullo” per il fasto dei suoi banchetti, e il condottiero Gian Giacomo Trivulzio, dove finì la sua carriera).

Ma le ricette del Maestro Martino sono immortali, perché il Platina le ha riportate, traducendole in latino, nel suo già citato “De honesta voluptate et valetudine”, che non è un ricettario vero e proprio, ma un trattato di gastronomia rinascimentale. Qualche anno più tardi il libro sarà tradotto anche in italiano: una copia è consultabile presso la Libreria antiquaria Emporium (contact@emporium-art.com).

Il Platina e Sisto IV sono, uno come laico, l’altro come religioso, le due facce di una stessa medaglia. Sono due uomini che, ognuno con la propria competenza, hanno lasciato alla posterità cose che li rendono immortali. Fra le quali il trattato di cucina, che fu compilato con amore da Platina (lui stesso cucinava molto bene, pur non essendo un cuoco), arricchito da ricette proprie (fra le quali ricette di insalata, cosa rara per quel tempo, perché solo i poveri la mangiavano), con molta attenzione alla salute e all’influenza del cibo su di essa. La forza innovatrice di Maestro Martino spinse Platina a intraprendere analisi nuove sulla gastronomia, l’alimentazione, il valore dei prodotti “locali” e perfino sull’utilità di una regolare attività fisica.

Una volta finito il libro, Sisto IV ne pagò, come detto, la stampa. Nei secoli sarà ristampato altre volte e oltre che in italiano sarà pubblicata anche un’edizione in francese. Ma quella prima edizione in latino rimane una grande rarità. Vale la pena di visitare la Biblioteca Vaticana per poterlo sfogliare.

Oltre a “De honesta voluptate”, Platina scrisse diversi altri libri, soprattutto di storia: “De principe”, “De vera nobilitate” et “De falso et vero et bono”. E, dulcis in fundo, il “Liber de vita Christi ac omnium pontificum”, una raccolta delle biografie dei Papi, in cui si tolse i sassolini dalle scarpe dipingendo Paolo II in colori a dir poco foschi. Come dire, la vendetta è un piatto che si serve freddo. E Platina, di piatti, se ne intendeva.