Siria, nuovo ribaltone: Erdogan e Assad ai ferri corti
Non si può ancora parare di guerra aperta tra Turchia e Siria ma poco ci manca. Dopo la decisione del regime di Bashar Assad di negoziare con le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg), legate al partito siriano dell'Unità democratica (Pyd), l’ingresso nell’énclave di Afrin delle forze di Damasco ha scatenato una dura reazione.
Non si può ancora parare di guerra aperta tra Turchia e Siria ma poco ci manca. Dopo la decisione del regime di Bashar Assad di negoziare con le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg), legate al partito siriano dell'Unità democratica (Pyd), l’ingresso nell’énclave di Afrin delle forze di Damasco ha scatenato una dura reazione da parte di Ankara che da un mese attacca in quel settore le forze curde definite “terroristi” alla stregua delle milizie dello Stato Islamico.
"Le forze popolari arriveranno ad Afrin nelle prossime ore per sostenere i suoi abitanti contro l'attacco del regime turco". Aveva scritto l’altro ieri la stampa governativa siriana, aggiungendo che le truppe di Assad "si uniranno alla resistenza contro l'aggressione turca" e precisando che si tratta di "difendere l'unità territoriale e la sovranità della Siria". Non è chiaro però se queste truppe siano già arrivate e in ogni caso ieri "la tv al-Manar degli Hezbollah libanesi, alleati di Damasco, riferiva di “gruppi di forze popolari siriane” che cominciavano “a entrare nella regione di Afrin nel Rif settentrionale di Aleppo".
Nel tardo pomeriggio di ieri neppure le forze curde avevano confermato l'intervento dei governativi siriani, ma a Damasco l’agenzia di stampa Sana ha riferito che le truppe turche “hanno bombardato zone abitate vicino alle forze popolari, che erano arrivate a sostegno della popolazione di Afrin sotto aggressione", Una fonte curda interpellata dall’agenzia di stampa tedesca Dpa e coperta da anonimato ha confermato che è stata bombardata un'area nei pressi di una strada che era stata utilizzata dalle forze siriane. Sempre ieri, immagini diffuse dalla tv libanese al-Mayadeen hanno mostrato mezzi con le bandiere siriane, con miliziani a bordo e carichi di armi, mentre entrano nell'area di Afrin. Nelle immagini i combattenti fanno il segno della vittoria. Nello scorso fine settimana erano trapelate indiscrezioni su un accordo che sarebbe stato raggiunto tra Damasco e i miliziani curdi per il dispiegamento di unità delle forze filo-Assad ad Afrin.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che, nei prossimi giorni, le Forze Armate turche assedieranno la città di Afrin e la regione omonima per evitare che le forze curde possano ricevere sostegno dall'esterno e far si che “il gruppo terroristico non abbia più l'opportunità di negoziare con nessuno". Un chiaro messaggio rivolto a Damasco. Il rischio che i curdi di Siria costituiscano un pretesto per scatenare un nuovo “sotto-conflitto” nell’ormai parcellizzata guerra siriana ha indotto Mosca, alleato di ferro di Assad e partner strategico della Turchia, a proporsi come mediatore per una soluzione del conflitto ad ha detto l'inviato del Cremlino per il Medio Oriente e l'Africa Mikhail Bogdanov. "La Russia non vuole imporsi su nessuno. Ma se ci viene chiesto, siamo pronti a fare una buona azione per fermare il bagno di sangue e trovare denominatori comuni", precisando che la cosa più importante per Mosca è "il rispetto dell''integrità, della sovranità e unità della Siria".
Un concetto, quello della sovranità di Damasco, già espresso dalla Russia in relazione alla presenza di truppe statunitensi al fianco delle milizie curdo-arabe note come Forze Democratiche Siriane (FDS) e nei confronti delle incursioni aeree israeliane in Siria. Del resto è difficile ipotizzare che le forze di Assad si muovano in armi senza il via libera da Mosca e in proposito il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, si è espresso in modo chiaro. "Abbiamo ripetutamente affermato che sosteniamo pienamente le legittime aspirazioni del popolo curdo. Riteniamo sbagliato che qualcuno approfitti delle aspirazioni del popolo curdo per i suoi giochi geopolitici che non hanno nulla a che fare con gli interessi dei curdi e della sicurezza regionale".
L'operazione "Ramoscello d'ulivo" varata da Ankara ha finora portato a occupare 300 chilometri quadrati di territorio siriano provocando la morte di oltre 1700 “terroristi” (secondo fonti turche) mentre i soldati turchi uccisi sono ufficialmente 32 e sconosciuto è il numero di perdite subite dalle milizie filo-turche dell’Esercito Siriano Libero (ESL). L’intervento militare ad Afrin ha finora messo a dura prova i legami già difficili tra Ankara e Washington, poiché i turchi hanno chiesto (incassando il secco rifiuto del Pentagono) il ritiro delle truppe Usa che affiancano i curdi a Manbji e in altre zone di confine nel nord della Siria.
Gli ultimi sviluppi della situazione rischiano ora di portare ai ferri corti anche le tensioni con Damasco e Mosca. Troppi nemici, anche per un “duro” come Erdogan che potrebbe trovarsi costretto a trovare una via d’uscita dal conflitto siriano che interrompa le ostilità in cambio di qualche garanzia sulla sicurezza del confine.