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MEDIO ORIENTE

Siria, la regia russo-americana chiave della svolta

La nuova cooperazione tra russi e americani è alla base di importanti successi sul campo contro l'Isis. Mentre gli iracheni stringono su Mosul, i siriani (appoggiati dai russi) rientrano nell'antica città di Palmira. Nuova costituzione siriana in quattro mesi. Ma dal nuovo ordine mediorientale la Ue è assente.

Editoriali 26_03_2016
Truppe siriane a Palmira

Mentre in Europa l’attenzione dei media è ancora tutta concentrata sugli attentati di Bruxelles, nel Vicino e Medio Oriente, all’ombra di quella che è una vera e propria regia congiunta russo-statunitense, in modo evidentemente coordinato sono in corso offensive contro le aree controllate dall’Isis sia in Siria che nell’Iraq del Nord. Si registrano perciò grossi passi avanti sulla via della soluzione della crisi siriana e perciò anche nord-irachena, che implica la scomparsa dalla scena dell’Isis quantomeno come organismo dotato di capacità di stabile controllo di un territorio. 

Ci si può quindi domandare se i recenti attentati di Bruxelles siano in qualche  modo una risposta a tale offensiva. Una più efficace mobilitazione dei servizi di sicurezza europei sarebbe bastata ad impedirli? Se ciò fosse (cosa che non siamo in grado di valutare con certezza) dovremmo constatare delle carenze di coordinamento cui occorre porre fine al più presto. Diversamente da quanto già qualcuno ha detto, la soluzione del problema non sarebbe però a nostro avviso la creazione di servizi segreti europei centralizzati: una struttura che rischierebbe di essere o superflua o viceversa pericolosa. 

Secondo notizie diffuse ieri mattina dalla Tv siriana, forze del governo di Assad avrebbero già raggiunto Palmira. La notizia della morte nei combattimenti di un ufficiale delle forze speciali russe fa pensare si tratti di reparti inquadrati o comunque assistiti da esperti militari di Mosca. Mentre scriviamo non sembra si possa ancora parlare di un ritiro dell’Isis dall’intera città, comprese le celebri rovine della città antica. In ogni caso quanto già accaduto segna una svolta di rilievo in una situazione  che da tempo sembrava bloccata. Frattanto forze del governo di Baghdad, appoggiate da milizie sciite, sono all’offensiva nel nord dell’Iraq dove puntano alla riconquista sia della piana di Ninive, da dove i cristiani ivi residenti dovettero fuggire in massa nell’agosto di due anni fa, e sia della città di Mosul.

La partecipazione di milizie sciite alla riconquista di una regione a maggioranza sunnita non può che preoccupare. Se queste dovessero vendicarsi con saccheggi e violenze di quanto subito dai civili sciiti durante il dominio dell’Isis, organizzazione terroristica che è di ambiente sunnita, si finirebbe per perpetuare un conflitto che invece occorre spegnere. Sin qui tutti i governi che hanno fatto seguito in Iraq (Paese per il 60% sciita) al regime del sunnita Saddam Hussein hanno discriminato i sunniti alimentando così un disagio su cui l’Isis seppe fare abilmente leva. E’ perciò molto importante che gli Stati Uniti, patroni del dopo Saddam, esigano che tale circolo vizioso venga spezzato.

Quanto sta accadendo sul terreno è il riflesso puntuale, dicevamo, di una stretta cooperazione diplomatica russo-americana. L’altro ieri il segretario di Stato John Kerry era a Mosca dove si è incontrato con Vladimir Putin. All’uscita dal colloquio, durato quattro ore, Kerry ha innanzitutto annunciato che gli Stati Uniti e la Russia puntano a che si disponga entro il prossimo agosto di una bozza di nuova Costituzione per la Siria. Sarebbe il caso di chiedersi che cosa ne pensa al riguardo il diretto interessato, ossia il popolo siriano, ma a quanto pare tale questione non è all’ordine del giorno. Nel corso di una conferenza stampa cui partecipava anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, Kerry ha spiegato che nella circostanza gli Stati Uniti e la Russia hanno anche concordato di definire entro agosto “lo schema di una transizione politica” con riguardo alla Siria. Rispondendo alla domanda di un giornalista presente, il segretario di Stato non ha voluto dire se nei suoi  colloqui con Putin si fosse pure parlato del futuro politico del presidente siriano Assad. Ha solo detto che Usa e Russia sono concordi nel ritenere che Assad farà “la cosa giusta” e si impegnerà in negoziati di pace.

Il problema è che la “cosa giusta” cui pensa Kerry e cui pensa Lavrov non sono la stessa cosa. Gli Stati Uniti vorrebbero che Assad uscisse di scena mentre la Russia dice che sta ai siriani deciderlo. Frattanto però la tregua fra governo di Damasco e insorti (con la sola esclusidell’Isis e di Al-Nusra) iniziata lo scorso 27 febbraio sta tenendo. Kerry e Lavrov hanno ribadito che faranno quanto possono (ovvero moltissimo) perché si consolidi e che nel medesimo tempo premeranno su Assad e rispettivamente sugli insorti perché sin dai primi giorni di aprile diano inizio a Ginevra a “colloqui diretti” con l’obiettivo di giungere a definire una “governance di transizione”. Quelli indiretti, ovvero mediati dalle Nazioni Unite, si erano conclusi a Ginevra l’altro ieri, giovedì.

La possibile prossima completa espulsione dell’Isis da Palmira dovrebbe tra l’altro consentire di verificare quanto – grazie alle moderne tecniche di ricostruzione -  siano riparabili i danni inflitti dagli occupanti alle rovine della città antica. Al di là di questo l’uscita di scena dell’Isis sarebbe finalmente un lampo di luce in un orizzonte da troppo tempo buio. Se come gente del nostro tempo non possiamo che essere confortati da una tale prospettiva, come europei dobbiamo tuttavia prendere atto che, soprattutto per colpa nostra, gli Stati Uniti stanno consegnando non all’Unione Europea bensì alla Russia lo spazio strategico che nel loro progressivo ritiro dal Levante lasciano dietro di sé. Che cosa dovrà ancora accadere prima che l’Europa si risvegli? C’è da chiederselo con crescente preoccupazione.