Siria, il segreto dei fondamentalisti
Dove controllano il territorio, le formazioni qaediste garantiscono sicurezza e distribuiscono aiuti. Così cresce per loro il consenso della popolazione e si preparano a gestire la Siria del dopo-Assad. Eliminando i cristiani.
Gli jihadisti nella resistenza siriana stanno facendo parlare di sé sempre di più. Perché sono vicini alla conquista di Al Safira, che include un impianto per la produzione di armi chimiche. Perché si sono “distinti” con il rapimento-lampo dei vescovi Gregorios Yohanna Ibrahim e Boutros Yazigi, oltre che quello dei sacerdoti cristiani Michel Kayal e Maher Mahfouz, nelle loro mani da circa tre mesi.
E sono solo le ultime vittime cristiane delle loro violenze: gli jihadisti impongono la jizya, la tassa coranica della sottomissione delle comunità cristiane e cacciano gli “infedeli” dalle loro case ovunque prendano il controllo del campo.
Ma quanto pesa la componente islamica nella resistenza contro Bashar al Assad? Sulla carta, poco. Perché, secondo le analisi più pessimiste, non raggiungerebbero i 10mila uomini, mentre l’Esercito di Liberazione Siriano ne conta circa 120mila. Ma, in pratica, stanno prendendo la guida di tutto il movimento anti-Assad.
Più che per motivi militari, il maggior punto di forza di al Nusra, comunque, sembra però essere un altro: è uno Stato nello Stato. Ovunque si insedi, specialmente nella città orientale di Deir Ezzor, organizza la sua rete di associazioni caritatevoli, sostituendo uno Stato che non c’è più. In un Paese disintegrato, dove la violenza domina, il servizio più richiesto è la sicurezza. E al Nusra si presenta come il miglior fornitore di sicurezza. Secondo Charles Lister, analista del Jane’s Terrorism and Insurgency Center, i combattenti di Al Nusra “hanno acquisito una reputazione di forza militare e di incredibile valore, all’interno della più ampia galassia dell’insurrezione”, anche perché fonti dell’opposizione affermano che i membri del gruppo siano ben accetti dalle popolazioni locali, visto che sono gli unici che tengono alla larga saccheggiatori e ladri.
La Quilliam Foundation, un think tank con base a Londra che studia i movimenti radicali islamici, constata che: “La strategia di breve periodo di Jabhat al Nusra è principalmente focalizzata sulla vittoria militare, ma sono già state poste le basi per lo sviluppo di lungo periodo del movimento, compresa l’organizzazione di un gruppo per gli aiuti umanitari alla popolazione”. Un analista yemenita, Saeed al Jamhi, constata molte somiglianze fra Jabhat al Nusra (che ha giurato fedeltà ad Al Qaeda, il 15 aprile scorso) e l’organizzazione qaedista Ansar al Sharia, attiva nello Yemen: “Jabhat al Nusra – scrive l’analista – sta fornendo servizi a Deir Ezzor e nelle altre aree sotto il suo controllo, e sta usando questa sua attività per farsi propaganda, così come faceva Ansar al Sharia utilizzando la sua agenzia stampa Madad”.
La propaganda è un altro punto di forza di Jabhat al Nusra. La sua agenzia dei media, Manara al Baida, serve soprattutto a lanciare proclami, documentare le azioni dei suoi guerriglieri, commemorare i caduti e attrarre nelle sue file sia siriani che volontari stranieri.
E’ difficile calcolare l’influenza degli islamisti nella resistenza siriana anche per un altro, semplice, motivo: al Nusra non è la sola organizzazione operativa. Nell’ultimo mese, nell’area di Latakia (costa mediterranea) tre sigle di jihadisti provenienti da tutto il mondo islamico si sono fuse nel Jaysh al Muhajiren wa’l-Ansar, comandato da Abu Omar al Shishani (“il ceceno”). E’ una vera e propria “brigata internazionale” che include turchi, arabi, caucasici e persino volontari cinesi musulmani (uno dei quali è visibile in un loro video di propaganda). Anche questo gruppo ha la sua agenzia dei media, la Liwa al Mujahedin al Ilami, che vanta una lunga tradizione: era attiva, nelle file degli jihadisti, sin dai tempi della Guerra di Bosnia (1992-1995), per reclutare combattenti da tutto il mondo musulmano. La struttura di questo gruppo, come quella di al Nusra, è quella di un vero e proprio Stato nello Stato: ha un consiglio religioso, uno politico, un comando militare, fornisce servizi alla popolazione, provvede al mantenimento dell’ordine (secondo la legge coranica) nelle aree che occupa.
La meno conosciuta Ahrar al Sham è un’altra emanazione dell’ideologia di Al Qaeda, attiva anche sul fronte di Aleppo. Anche questa, come le altre due organizzazioni che abbiamo visto, ha la sua branca “civile” che fornisce aiuti umanitari e sicurezza alle popolazioni musulmane sotto il suo controllo.
Da questo punto di vista, Hezbollah ha fatto scuola, pur combattendo dall’altra parte (al fianco del regime di Bashar al Assad). La guerriglia sciita libanese è riuscita a consolidare il suo controllo nel Sud del Libano proprio arrogandosi il monopolio dell’assistenza alle popolazioni locali, sostituendosi in toto al governo di Beirut. Dopo la guerra del 2006 contro Israele, grazie anche ai generosi aiuti arrivati da Siria e Iran, fu Hezbollah a ricostruire le aree più colpite dai bombardamenti. Nel corso dei decenni, pur in tempo di pace, anche i Fratelli Musulmani in Egitto hanno fatto qualcosa di analogo, creando la loro rete di enti caritatevoli (che subentrano a uno Stato corrotto) e ponendo le basi per un consenso maggioritario. Le organizzazioni jihadiste siriane stanno facendo lo stesso nelle aree colpite dall’esercito regolare siriano, grazie soprattutto agli aiuti che arrivano da una rete amica di moschee, dall’Arabia Saudita e dal Qatar.
Si tratta di un umanitarismo tutt’altro che disinteressato, in ogni caso. I cristiani nelle aree occupate dagli jihadisti, come abbiamo visto, sono perseguitati. Così come sono numerosi gli allarmi di violenze contro gli alawiti e gli sciiti. Sono stati riportati scontri con la popolazione locale anche a Deir Ezzor, roccaforte di al Nusra. Perché ovunque arrivino, a qualunque sigla appartengano, gli jihadisti impongono un ordine totalitario religioso, analogo a quello dei Talebani in Afghanistan. In cambio dell’aiuto alla popolazione, chiedono un’obbedienza assoluta. Creano un rapporto di dipendenza dai loro servizi, per controllare meglio i civili. Queste piccole, ma determinate, organizzazioni, stanno ponendo le basi per la costruzione di un regime totalitario islamico in Siria.