«La verità salva se si fa amore, fino a dare la vita»
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La verità può salvare solo se «diventa un agnello che si immola facendosi amore», come mostrano Cristo e i martiri che hanno dato la vita per Lui. Il nostro compito in una società che attacca vita e famiglia; e quello dei vescovi. La Bussola intervista mons. Giovanni D’Ercole, autore de Il leone che è agnello.
Cercare e soprattutto trovare la verità, oggi è ancora possibile? Ne parla monsignor Giovanni D’Ercole nel suo ultimo libro Il leone che è agnello. Alla ricerca della verità che salva (Lumen Cordium). Di fronte alla nostra società malata si è tentati di cedere allo scoraggiamento, eppure – ci ricorda mons. D’Ercole – esiste una soluzione. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha intervistato.
Il leone che è agnello. Alla ricerca della verità che salva: perché questo titolo?
Il titolo riprende il capitolo quinto dell’Apocalisse dove il Leone di Giuda sparisce e appare un Agnello che, immolato ma ritto, apre al grande grido di gioia e di lode. Da qui l’idea del libro. Ho compreso che la verità, perché possa davvero salvare, non può essere un leone che aggredisce, ma deve diventare un agnello che si immola facendosi amore. La verità è il fondamento dell’amore e di una società che possa essere davvero libera e solidale, ma è anche “inclusiva”, poiché un amore inclusivo senza un fondamento di verità rischia di non essere vero e di non fare comprendere il senso reale e profondo della verità stessa.
Il suo libro nasce negli anni 2021-2023, periodo in cui lei si trovava in Marocco, dove ha vegliato l’ultimo testimone dei monaci di Tibhirine. Quale testimonianza ci lascia il loro martirio, da lei definito segno di «una vita spezzata e offerta»?
Nel ricercare la verità viene subito in mente la vicenda dei monaci di Tibhirine martirizzati in Algeria nel 1996. Essi hanno preso la decisione unanime di rimanere e di affrontare il martirio perché avevano compreso che la verità si proclama soprattutto dando la vita. Il loro martirio è una chiave di lettura che parla alla nostra umanità. Dove non si è disposti a dare la vita per la verità significa che questa non è nemmeno entrata nell’anticamera del nostro pensiero. Di verità oggi si parla tanto ma spesso non se ne comprende il senso. Verità significa essere disposti a darne testimonianza fino in fondo, come fanno i martiri, che versano il loro sangue o che, perseguitati, continuano a esserle fedeli.
Parlando di martirio per la verità viene in mente la vicenda di Charlie Kirk, una figura “rivoluzionaria” per la nostra società. Che cosa ci dice il suo esempio oggi?
Stavo finendo il libro quando è avvenuto l’omicidio di Charlie Kirk. La sua vicenda è stata affrontata in modo banale, incompleto e ideologicamente preconcetto da molti organi di stampa italiani. Sono rimasto colpito dalla finezza di un giovane consapevole del rischio di essere ucciso, ma che aveva giurato a se stesso, a sua moglie e al Vangelo di essere disposto a dare la vita per Gesù. Kirk in America è diventato un simbolo di speranza e soprattutto ha mostrato ai giovani, e non solo, che bisogna avere il coraggio dei propri ideali – non ideologie – e di ricercare la verità fino in fondo, anche a costo della vita.
Tempo di guerre e di crisi umana che investe l’ambito della famiglia e della vita: aborto, eutanasia, cambio di genere, intelligenza artificiale e transumanesimo. Nonostante tutto ad avere le redini dell’umanità è sempre Dio. È possibile, oggi, “cambiare” il mondo in meglio? E qual è il ruolo del cristiano?
Nel mio libro affronto tutte queste tematiche non come un esperto che espone una situazione, ma come un credente che le legge alla luce di un progetto di Dio. Dio scrive sempre dritto nelle righe storte degli esseri umani. Davanti a molto pessimismo, io credo che proprio queste problematiche, che sembrano talvolta distruggere la capacità di reagire, ci indicano che ognuno di noi deve fare la sua parte. Dio ha le redini di questo mondo e aspetta che ciascuno si faccia costruttore – e non giudice – del Suo mondo. Noi abbiamo una missione grande, quella di dare la vita perché la verità della famiglia e della vita stessa passi attraverso la nostra testimonianza, costi quel che costi.
Ideologie e Nuovo ordine mondiale. Lei insiste sulla necessità di ripartire dalla famiglia definita da Fabrice Hadjadji il «fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza». Com’è possibile oggi?
Vorrei che il mio libro aiutasse chi lo prende in mano a leggere questa realtà con gli occhi di Dio e vedere che il bene che c’è non può essere confuso dal male. Si scoprono allora delle “chicche” di verità e bontà che danno il coraggio di battersi perché il progetto di Dio possa realizzarsi anche attraverso l’impegno di ognuno di noi. Io cito alcuni esempi, come Fabrice Hadjadji, giovane francese convertito che, nonostante i problemi, riesce a vedere la realtà con gli occhi di chi ha grande speranza alla luce della presenza di un Dio che non dimentica mai il cammino degli uomini. Don Orione ci ricorda di non essere catastrofici, perché il mondo è nelle mani di Dio, così come sosteneva Benedetto XVI nel dire che la Chiesa continuerà sempre il suo cammino nonostante gli attacchi dei nemici.
A proposito di Chiesa, lei parla del «virus della stanchezza pastorale» e di quello della «Innovatio disconnessa o delle formule astratte», oggi molto diffusi. Quanto è importante non cedere alla tentazione di camminare da soli?
Comprendo la grande difficoltà dei vescovi oggi e non ho il diritto di giudicare scelte o espressioni che posso non condividere, ma umilmente e modestamente vorrei comunque dare un mio contributo. Ho capito che il rinnovamento non si impone attraverso delle lettere pastorali o dei progetti, ma è qualcosa che può fare solo Dio, per cui la cosa principale che noi vescovi e che tutti, come Chiesa, dobbiamo fare è metterci a pregare. Un vescovo emerito scrive che un sacerdote dovrebbe pregare almeno tre ore, un vescovo in carica quattro e uno emerito cinque. Io lo faccio e vedo come questo fornisca un modo nuovo di guardare la realtà dove i problemi, che io definisco dei virus, ci sono, ma Dio nel suo silenzio continua ad operare. Bisogna andare al cuore della gente e avere l’umiltà di ascoltare Dio che nel più semplice e umile continua a parlarci di speranza, di rinnovamento e di una presenza invincibile nella Chiesa e nella nostra società.
Per costruire ponti non bisogna mai rinunciare alla croce, ce lo ricorda san Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio. Esiste ancora un dialogo capace di riportare alla verità?
Oggi non c’è capacità di ascoltarsi. Lo vediamo nelle discussioni televisive, in famiglia, dappertutto. Questo è segno di una paura diffusa e di una sfiducia reciproca che nasce da un’azione diabolica, la quale vuole farci rinchiudere in noi stessi, schiavi della paura dell’altro. Come un uomo nel deserto ha sete e desidera l’acqua, così bisogna ascoltare il prossimo. Parola e silenzio sono due complementi indispensabili per riscoprire la bellezza del dialogo. E questo senza mai dimenticare Cristo.
Leone XIV: qual è il suo giudizio a sette mesi dall’elezione?
Direi che questo pontificato ha recuperato tre aspetti importanti: il primo, riscoprire la centralità di Cristo. Tutto, infatti, deve partire e ritornare a Lui, e questo vale per noi vescovi che talvolta ci dedichiamo ad altre attività e per i preti che possono dare per scontata una conoscenza di Cristo. Il secondo aspetto è quello di un papa che non cerca di essere protagonista perché sa di svolgere un ruolo che non può andare incontro alle ideologie di questo mondo. Per noi cristiani questo è un grande segno di sicurezza, perché Prevost è un papa che crede in Gesù Cristo e poggia tutto su di Lui. Il terzo riguarda la grande serenità che comunica: nonostante le critiche di chi era abituato all’attivismo di Francesco, Leone XIV sente di avere una missione e la porta avanti. Credo che questo pontificato aiuterà ciascuno di noi a ritornare in se stesso, a riacquistare fiducia mettendosi a seguire Gesù Cristo, con la consapevolezza che solo Lui possiede ed è la risposta a tutti i problemi. Più noi abbracciamo Cristo e più riusciamo a essere interpreti di una nuova umanità salvata dal Suo amore.
Eccellenza, in conclusione qual è la soluzione?
Cercavo la verità e ho incontrato l’Eucaristia, riscoprendo che veramente nel silenzio di un’Ostia immacolata c’è il segreto della vittoria su tutti gli ostacoli che impediscono di vivere felici. L’Eucaristia è il segreto della felicità di un uomo che in essa scopre la sorgente di ogni cosa. Azzardo una mia previsione: il futuro dell’umanità sarà sempre di più un ritorno all’Eucaristia e lo comprendo perché oggi la vediamo bistrattata anche da molti sacerdoti e considerata con grande leggerezza. C’è un movimento silenzioso che avanza: l’Adorazione, la celebrazione devota dell’Eucaristia, l’incontro con il Cristo che si apre alla verità della nostra vita. Se dovessi riassumere il mio libro direi che partendo dai problemi ho capito questo: l’Eucaristia è molto più che la soluzione, è il mondo nuovo che Cristo sta già ricostruendo. Per questo ho una grande fiducia e una grande speranza.


