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LO SCONTRO RUSSO-TURCO

Siria, Erdogan chiede aiuto alla Nato e ricatta l'Ue

In Siria si sta ormai combattendo una guerra aperta fra l'esercito turco (a Idlib per appoggiare i ribelli) e l'esercito regolare siriano appoggiato dalla Russia. In difficoltà a causa delle gravi perdite subite, Erdogan chiede aiuto alla Nato. E ricatta l'Ue, minacciando di riaprire le porte al flusso di profughi ed emigranti (ora anche dalla Libia)

Esteri 29_02_2020
Convoglio militare turco a Idlib (Siria occidentale)

L’escalation del confronto tra siriani e russi da una parte e truppe turche schierate con le milizie jihadiste nella provincia settentrionale di Idlib ha indotto Ankara a minacciare di nuovo l’Europa di aprire la frontiera balcanica ai flussi di migranti.

A convincere Ankara paventare di nuovo questa minaccia all’Europa ha contribuito il pesante bilancio di perdite registrate dall’esercito turco nella battaglia in atto nel Nordovest della Siria. È infatti di almeno 34 soldati turchi uccisi e altri 32 feriti il bilancio provvisorio di un raid compiuto giovedì dalle forze aeree di Damasco, ma fonti indipendenti stimano un numero di morti ancora superiore. Da settimane l’esercito siriano, con il supporto aereo e di artiglieria della Russia, ha lanciato una vasta offensiva nella provincia di Idlib, ultima roccaforte ancora sotto il controllo delle milizie jihadiste sostenute da Ankara, non più solo con armi, munizioni e appoggio logistico ma con una crescente presenza di militari e mezzi turchi.

I combattimenti hanno visto inizialmente ampi successi delle truppe siriane e avrebbero innescato una crisi umanitaria con la fuga di centinaia di migliaia di persone (950mila, per l’81% donne e minori, secondo l’ONU solitamente incline però a dare credito alle fonti vicine ai ribelli), cui hanno fatto seguito contrattacchi dei ribelli sostenuti dalle forze turche. La Russia, che sostiene apertamente l’offensiva delle truppe di Damasco, tiene aperto un canale di dialogo con Ankara, anche se la battaglia di Idlib sta incrinando in modo crescente i rapporti bilaterali. Mosca del resto sta rafforzando il suo dispositivo militare in Siria con altri aerei e navi da guerra.

L'esercito turco ha invece dichiarato di aver "neutralizzato" in 17 giorni di scontri almeno 1.709 soldati siriani distruggendo 55 tank, 3 elicotteri, 18 mezzi blindati, 29 obici, 21 mezzi militari e diversi depositi di armi e munizioni del regime. Numeri che appaiono gonfiati dalla propaganda, che Damasco smentisce, ma nessuna fonte indipendente ha potuto verificare. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan vuole il ritiro di tutte le forze siriane dall’area in cui la Turchia ha allestito dei punti di osservazione, di fatto a protezione della sacca di resistenza dei ribelli jihadisti. Damasco, con l’aiuto di Mosca, rivendica il diritto di liberare dai ribelli l’ultima regione del suo territorio nazionale, area in cui in base al diritto internazionale i turchi costituiscono una forza di occupazione.

La Turchia, in evidente difficoltà sul campo di battaglia, sembra voler cercare appoggi presso la NATO e l’Europa. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha avuto un colloquio telefonico con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per discutere delle possibili misure da prendere nel quadro dell'Alleanza Atlantica, cui potrebbe ora chiedere sostegno militare, come fece anche nel 2015, ottenendo però solo lo schieramento di batterie di difesa contro i missili balistici lungo il confine con la Siria. A Washington il senatore repubblicano Lindsay Graham, molto vicino al  presidente Donald Trump, ha chiesto un intervento immediato per garantire una no-fly zone sulla provincia di Idlib, tema già affrontato dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar con il suo omologo americano Mark Esper. L’obiettivo è impedire alle forze aeree russe e siriane di sostenere l’offensiva per la riconquista della provincia di Idlib che spazzerebbe via le ultime milizie jihaduste.

Con l’Europa invece la strategia di Erdogan resta quella di sempre, basata sul ricatto, attuato minacciando nuovi flussi di migranti verso i Balcani e la Ue in risposta al mancato sostegno nella sua campagna militare contro le forze governative siriane. Il governo turco ha infatti dichiarato ieri che non intende più fermare i rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa. “Abbiamo deciso - riferisce un alto funzionario del governo turco dietro anonimato - con effetto immediato, di non fermare i rifugiati siriani che cercano di raggiungere l’Europa via terra o via mare. Tutti i rifugiati, compresi i siriani, sono liberi di andarsene nell’Unione Europea”. "Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi" a Iblib in Siria, "hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali" con l'Ue. "Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere" ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, secondo cui tuttavia "non c' è alcun cambiamento nella politica verso i migranti e richiedenti asilo del nostro Paese, che accoglie il maggior numero di rifugiati al mondo".

Una minaccia concreta tenuto conto che i primi gruppi di alcune decine di profughi si stanno dirigendo a piedi verso il confine con la Grecia. Lo riferiscono le Tv locali, mostrando le immagini di persone in cammino sul ciglio della strada, tra cui donne e bambini. Secondo l'agenzia Dogan, sarebbero circa 300 i migranti siriani, iracheni e iraniani giunti ieri mattina nella provincia frontaliera turca di Edirne. Il loro passaggio non sarebbe al momento consentito attraverso il valico di frontiera di Pazarkule, ma secondo le testimonianze di alcuni di loro non verrebbe più ostacolato l’attraversamento dalle aree rurali e lungo il fiume Evros, confine naturale tra la Turchia e la Grecia. Le immagini delle Tv mostrano inoltre diversi bus e altri mezzi organizzati a Istanbul per condurre gruppi di migranti verso il confine, distante circa 250 chilometri. Secondo fonti di Ankara, è stata data indicazione alla polizia di frontiera di ignorare di fatto il passaggio dei profughi, come anche alla guardia costiera di non bloccare più i natanti in partenza dalla costa egea verso le isole greche.

Se Ankara riaprisse i confini favorendo il trasferimento dei profughi siriani insieme ai migranti di altri Paesi mediorientali e asiatici verso le frontiere greca e bulgara e gli europei non provvedessero immediatamente a sigillarle, potrebbe ripetersi l’esodo di uno o due milioni di persone registratosi nel 2015. Inoltre, ora che i turchi esercitano una forte influenza sul governo libico di Tripoli, anche su questo fronte in contrasto con i Paesi europei che vorrebbero fermare il flusso di armi che Ankara invia in Libia, potrebbe indurre Erdogan a forzare la pressione migratoria anche nel Mediterraneo Centrale accentuando i flussi illegali diretti in Italia già in crescita da alcuni mesi grazie anche alla politica dei “porti aperti” attuata dal governo di Roma.