Sinistra umiliata perché ferma all'Antifascismo
La sconfitta del Pd è figlia anche del goffo tentativo di rubare la scena a Liberi e Uguali sul fronte dell’estrema sinistra, scimmiottando slogan antifascisti che hanno appiattito i dem su posizioni oltranziste, facendo perdere loro il contatto con il mondo moderato.
Mentre impazza il toto-governo e ci si interroga sulla possibilità che nasca un governo Cinque Stelle appoggiato dal Pd, a sinistra è iniziato il processo a Matteo Renzi, ma anche a chi l’ha abbandonato per fondare un partito, Liberi e Uguali, che ha sfigurato nelle urne, contribuendo a frantumare ulteriormente e inutilmente il consenso di quell’area politica.
Le dimissioni congelate di Matteo Renzi, che pretende di gestire da segretario la partita per la formazione del nuovo esecutivo, alimentano i malumori nel mondo dem. Alcuni renziani come il vicesegretario Maurizio Martina hanno già preso le distanze da lui e perfino il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che si è visto dare dell’”inciucista” da Renzi, non ha subìto passivamente quelle critiche ed è passato al contrattacco. Ormai siamo alla resa dei conti e alla guerra per bande.
Si sta creando nel Pd una vasta area che va da Michele Emiliano, governatore pugliese, a Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte, dal Ministro della giustizia, Andrea Orlando al deputato neoeletto Francesco Boccia e ad altri deputati, che vorrebbe allearsi con i Cinque Stelle e appoggiare un governo Di Maio con un programma chiaro e digeribile dall’elettorato di sinistra. Per non passare per poltronari, i dem antirenziani sarebbero pronti a rinunciare a qualsiasi incarico ministeriale, ma pretenderebbero la guida della Camera dei deputati o del Senato. Il candidato premier dei grillini si è già detto disponibile a concedergliela, pur di dar vita a un esecutivo a forte trazione pentastellata, che vari il reddito di cittadinanza, abolisca la legge Fornero e il Jobs Act e ponga le basi per un nuovo welfare e per radicali riforme in campo economico e sociale.
Queste manovre a sinistra puntano a impedire al centrodestra, coalizione uscita vincitrice dalle urne, di governare. Da un punto di vista costituzionale, tutto ciò è legittimo perché il Quirinale è chiamato a dare l’incarico alla personalità che, sulla base dei negoziati tra partiti, appare maggiormente in grado di dar vita a una maggioranza parlamentare. Quello che però fa pensare è la disponibilità dei Cinque Stelle ad accogliere nel loro governo i parlamentari di una forza politica agonizzante, tramortita dalla frana elettorale, e sconfitta sonoramente anche sul piano culturale.
L’elettorato, soprattutto quello più giovane, ha punito la pervicace ostinazione di certa sinistra ideologica a combattere battaglie anacronistiche e patetiche, come quella dell’antifascismo, lontane anni luce dalla sensibilità dei millennial, che chiedono opportunità lavorative, prospettive di crescita, apertura internazionale, non sterili ripiegamenti su un passato che per fortuna è morto e sepolto. Liberi e Uguali ha cercato di monopolizzare quel filone culturale e gli italiani hanno penalizzato i suoi esponenti, da Pietro Grasso, che nella sua Palermo ha raggiunto appena il 6%, a Massimo D’Alema, umiliato nel Salento con poco più del 3%. Senza contare che il Presidente dell’altra Camera, Laura Boldrini, e lo stesso Pierluigi Bersani, ex segretario Pd, sono stati ripescati nel proporzionale, essendosi piazzati agli ultimi posti nei rispettivi collegi uninominali.
A riprova dell’incapacità della sinistra di interpretare gli umori della società e di proporre ricette credibili per il futuro del Paese possono portarsi altri elementi. Anzitutto il goffo tentativo del Pd, nelle ultime due settimane di campagna elettorale, di rubare la scena a Liberi e Uguali sul fronte dell’estrema sinistra, scimmiottando slogan antifascisti che hanno appiattito i dem su posizioni oltranziste, facendo perdere loro il contatto con il mondo moderato. Non è bastata la faccia del premier Paolo Gentiloni, che ogni giorno snocciolava cifre rassicuranti sul Pil, l’occupazione, l’economia del Paese, rivendicando i meriti del suo esecutivo.
Ci ha pensato Matteo Renzi a far perdere altri voti al partito, annunciando che non avrebbe lasciato la segreteria neppure in caso di sconfitta, e dicendosi sicuro della possibilità che il Pd prendesse più voti dei Cinque Stelle. Il premier ha certamente tolto più volte le castagne dal fuoco all’irrequieto Matteo, ma evidentemente non è bastato, visti i pessimi risultati delle urne. E non sono bastati neppure gli endorsement pro Gentiloni di Enrico Letta, Romano Prodi e perfino di Silvio Berlusconi, che più volte si era detto disponibile, in caso di pareggio alle elezioni, ad accettare che a Palazzo Chigi restasse l’attuale Presidente del Consiglio.
Non meno desolante il panorama se si guarda agli altri cespugli della sinistra. Gli ulivisti di Insieme non hanno raggiunto l’1% e quindi i loro voti sono andati dispersi. Esattamente come i miseri consensi di Civica popolare, partitino nato in fretta e furia nel tentativo di trascinare un po’ di voti centristi verso il centrosinistra. Gli è andata bene solo per il fatto di essere riusciti ad eleggere, nell’uninominale, il Ministro della sanità, Beatrice Lorenzin e Pierferdinando Casini.
L’elettorato ha dunque intonato il de profundis ad un’area culturale e politica, quella della sinistra, ancora fortemente segnata da opprimenti venature ideologiche, incline a rifugiarsi nel passato per nascondere il vuoto progettuale che ha animato anche gli ultimi anni di sua presenza al governo. La fine del renzismo apre una stagione nuova che somiglia a una lunga traversata nel deserto per chi erediterà la guida del Pd e del centrosinistra. Siamo di fronte a una crisi profonda e destinata a prolungare a lungo i suoi effetti devastanti e distruttivi. Non sarà certamente il piatto di lenticchie offerto dai grillini per appoggiare un loro governo la panacea dei mali della sinistra e l’inizio della sua rinascita.