Simbolo di una rincorsa alla modernità
Giulio Andreotti fu l'interprete di un cattolicesimo politico che, insieme al bene che ha prodotto, desta anche qualche perplessità. Perché gli anni di governo di quella Dc furono anche quelli dello scivolamento del Paese verso la secolarizzazione.
All’età di 94 anni è morto Giulio Andreotti. Apparteneva ad un mondo fa. Talmente lontano, quel mondo, che anche la sua morte sembra inattuale e porta via con sé le polemiche sulla sua figura, un tempo accese e viscerali, ora in gran parte dimenticate.
Nella sua vita c’è tutta la storia della Democrazia Cristiana, dei cattolici nella nuova Repubblica, del collateralismo palese e occulto tra mondo ecclesiale - e spesso, per quanto riguarda Andreotti, ecclesiastico - e la politica, dell’incontro tra le masse religiose e la democrazia.
Andreotti fu alla Costituente, fu degasperiano, navigò nel centro-sinistra, uscì allo scoperto nei governi di unità nazionale, collaborò con Craxi, guidò a lungo la politica estera italiana, contribuì a risolvere molte crisi internazionali, fu l’ago della bilancia in numerosi congressi DC. Tutto condusse con la filosofia dell’et-et, che qualcuno fa derivare dal cristianesimo, secondo cui tutto si tiene, ed altri invece considerano frutto di realismo politico.
Apparteneva ad un mondo fa. Quando i politici erano colti e scrivevano libri. Quando andavano a messa. Partecipavano ai congressi e prendevano appunti, tanto, allora come ora, tutto era già stato deciso prima e fuori dell’aula congressuale. Quando il sistema era bloccato e la rendita di voti garantita. Quando c’era ancora un elettorato cattolico su cui fare conto. Quando occupare certe istituzioni voleva dire governare, dato che la società non era ancora complessa e frammentata come adesso. Quando le partecipazioni statali erano il ministero più importante, lo Stato aveva ancora un ruolo politico, la svalutazione della lira permetteva di aumentare la spesa pubblica, pagare fattorini, commessi e bidelli e mandare i lavoratori in pensione anticipata, l’Europa aveva ancora una sembianza cristiana, la Germania era divisa e la cortina di ferro proteggeva tanti.
Era la società della famiglia e del matrimonio, dell’utilitaria e delle ferie al mare, della grande impresa protetta dallo Stato e della piccola impresa protetta dall’identità locale, dal risparmio familiare e dalla religione popolare. Era la società delle grandi opposizioni e dei grandi consociativismi.
Quando si valuta l’operato di uomini politici come Giulio Andreotti, non si può evitare di fare non tanto un bilancio della loro singola vita politica, quanto piuttosto di una generazione di politici e di una esperienza politica, quella della Democrazia cristiana. Si rimane colpiti ed affascinati da un progetto così lungimirante: transitare le masse cattoliche nella democrazia. Si rimane ancor più colpiti dall’esito finale: consegnare le masse cattoliche nella mani della democrazia.
E non si capisce bene se fosse sbagliato il progetto iniziale, già vivo nella elaborazione dei Professorini negli anni Trenta e messo in atto dalla Costituente in poi, oppure fosse mancata in seguito la forza, specialmente culturale, per portarlo avanti in modo degno per quella croce che campeggiava nel simbolo del partito. Sta di fatto che la Democrazia Cristiana ha introdotto le masse cattoliche nella modernità e spesso le ha consegnate nelle sue mani. Il feroce processo di secolarizzazione ha altre cause ed altri attori. Però, anche la rincorsa democristiana ad un progresso forzato ha destato e desta molte perplessità.
Questa rincorsa è avvenuta in due modi. Uno è la linea dossettiana, che vedeva nell’accettazione della democrazia da parte delle masse cattoliche un momento di rigenerazione religiosa e teologica. L’altro era quello dell’illuminato pragmatismo andreottiano, e non solo andreottiano.
Quando si fanno queste sintesi non si vuole negare le tante cose buone che gli uomini politici di un mondo fa hanno fatto, da quelli di alto livello come Andreotti fino agli ultimi consiglieri comunali di paese, attori di una stagione politica poi impiccata al suo piazzale Loreto dall’ideologia interessata del nuovismo. Questo nuovismo, che sperimentiamo anche oggi, così superficiale e sguaiato, non ha minimamente la statura della vecchia guardia alla Giulio Andreotti.
Bisogna però riconoscere che anche ai tempi delle vacche grasse del cattolicesimo politico, delle percentuali elettorali superiori al 30 per cento, ai tempi de “La Discussione”, de “Il Popolo” e delle Edizioni Cinque Lune, anche ai tempi dell’onnipotenza di cui Andreotti fu protagonista, lo scivolamento verso la secolarizzazione della vita morale, sociale e politica era già ampiamente in atto. L’onnipotenza solo la nascondeva.