Sicilia: specchio delle divisioni politiche nazionali
Mentre i grillini rischiano di perdere consensi e Alfano appoggia la sinistra locale contro la volontà della maggioranza del suo partito, la guerra intestina al Pd siciliano indebolisce Renzi. Al contrario, il centrodestra è in testa nei sondaggi, ma con un candidato la cui vittoria darebbe più rilevanza alla duo Meloni-Salvini.
La Sicilia si conferma il fedele specchio delle contraddizioni e delle divisioni della politica italiana. Il 5 novembre i cittadini di quell’isola saranno chiamati alle urne per rinnovare l’assemblea regionale, ma i partiti tradizionali continuano a litigare sui candidati presidenti e sulle alleanze. E se ne guardano bene dal discutere di programmi e progetti di rinascita per una Sicilia sempre più disastrata sul piano finanziario e sociale.
Può risultare illuminante partire dagli ultimi sondaggi effettuati da Lorien Consulting, che danno in testa il candidato di centrodestra Nello Musumeci, con il 40,5%, il grillino Giancarlo Cancelleri ad inseguire (38,2%) e il candidato di centrosinistra, il Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, assai staccato (21,3%), nonostante l’appoggio dei centristi di Alfano, che proprio nell’isola ha avuto i natali.
Questi sondaggi fotografano una situazione ingarbugliata. Nel centrodestra, nonostante la virata su un candidato come Musumeci, più di destra che di centrodestra, si canta già vittoria, per almeno tre motivi: il primo è che un trionfo nell’isola potrebbe galvanizzare la base e proiettare lo schieramento verso un successo anche alla politiche; il secondo è che la vittoria arriverebbe senza l’apporto di Alfano che, se sconfitto nella sua terra d’origine, verrebbe probabilmente condannato all’irrilevanza anche sul piano nazionale; il terzo è che i grillini si ridimensionerebbero perché stanno puntando tutte le loro carte sulla Sicilia come trampolino di lancio per Palazzo Chigi. Appare però evidente che una vittoria di Musumeci sarebbe più una vittoria del duo sovranista Meloni-Salvini, visto che i berlusconiani alla Miccichè avrebbero preferito un altro candidato più moderato e vicino alle posizioni azzurre. Se Musumeci diventasse presidente della Regione, i sovranisti alzerebbero il prezzo con Berlusconi anche su base nazionale e finirebbero per allontanare dal centrodestra quei moderati che ragionano nell’ottica del Partito popolare europeo.
Nel centrosinistra regna un caos cosmico. Il governatore uscente, Rosario Crocetta, chiede primarie di coalizione, che Largo del Nazareno non vuole e minaccia di candidarsi anche da solo. La sua candidatura toglierebbe ogni speranza di vittoria al Pd, che rischierebbe di arrivare terzo con il suo candidato Micari, cioè dopo il centrodestra e i Cinque Stelle. Per Renzi sarebbe una sconfitta cocente, che aprirebbe la resa dei conti tra i dem, mettendo perfino in discussione la segreteria nazionale Pd e la candidatura dell’ex sindaco di Firenze alla Presidenza del Consiglio.
Sinistra Italiana e i bersaniani di Mdp, proprio per indebolire l’ex premier e togliergli ogni possibilità di successo in Sicilia, hanno già dichiarato il loro appoggio alla candidatura alternativa di Claudio Fava, che non ha alcuna chance ma che serve proprio ad indebolire il candidato di centrosinistra, il Rettore Micari.
Chi rischia davvero di restare col cerino in mano, condannandosi ad una sconfitta domestica che avrebbe ripercussioni anche sul quadro nazionale, è Angelino Alfano. Il suo atteggiamento doppiogiochista, le sue trattative parallele con centrosinistra e centrodestra stanno facendo saltare i nervi a molti dirigenti di Alternativa popolare, pronti ad abbandonare il Ministro degli Esteri e a trasferirsi nel centrodestra. Alfano, infatti, al momento sembra più propenso ad allearsi con il Pd, che gli avrebbe promesso uno sbarramento al 3% su base nazionale e un’alleanza organica anche per il governo del Paese. Se però dovesse scegliere la sinistra, Alfano perderebbe certamente molti pezzi, non solo al Nord, dove i vari Lupi, Formigoni ma anche Sacconi, guardano con favore ad un dialogo con Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, ma anche in Sicilia, dove il Ministro degli Esteri rischia di perdere molti suoi colonnelli, non disponibili a seguirlo nell’abbraccio col Pd, che reputano mortale per i progetti centristi.
Le trattative per le candidature siciliane sono rese ancora più complicate dalla riduzione dei posti in consiglio regionale da 90 a 70, a seguito della legge costituzionale 2/2013. Meno poltrone, quindi, molti uscenti a rischio o con nessuna possibilità di rientrare a Palazzo d’Orleans, accordi tra forze politiche alquanto complicati. I grillini sono gli unici che, correndo da soli, non pagano il pedaggio di alleanze precarie e rissose e di una conflittualità interna lacerante, elementi di criticità che assillano invece centrodestra e centrosinistra.
Renzi minimizza e mette le mani avanti: anche se il centrosinistra uscisse sconfitto dalle regionali siciliane, non ci sarebbero ripercussioni sugli assetti dem. Non è detto. L’ex premier dimentica che già a giugno il Pd ha perso molte città ed è uscito con le ossa rotte dalle urne. Se la circostanza si ripetesse anche nell’isola, i suoi oppositori interni rumoreggerebbero non poco, chiedendo un cambio di linea politica e una riedizione del progetto ulivista, che invece Renzi giudica inattuale e impraticabile. Una sconfitta dell’alleanza Renzi-Alfano proprio nella terra in cui quest’ultimo ha un innegabile serbatoio di voti potrebbe risultare fatale ad entrambi. Come sostengono gli alfaniani lombardi, che da tempo sono assai sensibili alle sirene di Stefano Parisi e Roberto Maroni.